(Quasi) come nel 1945…
“Nel silenzio della crisi generale” il recente gesto di Elon Musk ha suscitato ancora una volta troppe opinioni e distratto di conseguenza l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale da fatti ben più preoccupanti.
A costo di giocarmi una reputazione che non ho (tanto ormai ho ben poco da perdere dopo aver avuto ragione a proposito dell’inutilità di alcune misure del governo Draghi), penso di non essere in torto quando dichiaro che quel movimento del braccio nulla aveva a che vedere con un saluto romano.
Certo, se domani dovessi rendermi in effetti conto che Elon Musk è un nazista molto più convinto di quelli che hanno usato in maniera impropria etichette come “no-qualcosa” mi impegnerei per primo in azioni contrarie alle sue politiche ma se è vero che la storia è una vicenda talmente complessa da non poter essere affrontata con fretta, credo sia piuttosto opportuno (ri)mettersi a studiare alcune questioni il prima possibile.
La presentazione di DeepSeek ha in effetti confermato a chi vuole tentare di guardare al di là delle impressioni che nel 2025 non è di forse di destra e di sinistra che bisogna discutere ma di che cosa possiamo fare con l’Intelligenza Artificiale come occidentali e come esseri umani, prima di ogni cosa.
Come già discusso altrove, non poche sono in effetti le analogie tra l’Intelligenza Artificiale e l’energia atomica.
Da entrambe discende tanto per cominciare un grande potere e, se consideriamo quanto i fumetti siano certamente più istruttivi di molti mezzi di informazione, una grande responsabilità.
Di conseguenza, proprio perché la gestione di entrambe comporta una grande responsabilità è senz’altro urgente chiarire in modo prioritario un punto: non viviamo nel 1919.
Il mondo nel quale infatti viviamo oggi è un mondo la cui intrinseca complessità economica, sociale e tecnologica non ci consente interpretazioni anacronistiche filtrate dalle lenti univoche del marxismo-leninismo o del fascismo.
In altre parole, paragonare figure come quelle di Elon Musk e Donald Trump a Benito Mussolini o ad Adolf Hitler non solo impoverisce la qualità del dibattito storico ma altresì la qualità del dibattito politico contemporaneo.
Infatti, liquidare i protagonisti del nostro tempo con etichette approssimative significa sminuire la complessità del presente attraverso un linguaggio sempre più povero e asciutto, ossia attraverso un linguaggio capace di mettere a dura prova a sua volta lo stesso allenamento del pensiero.
Non per errore e non a caso, adesso, evidenzio l’importanza di un adeguato “training” intellettuale non già perché intenda ricordare che non basta quello fisico (di cui troppo ci si vanta) ma perché in tempi complessi come quelli appena ricordati dove appunto lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale procede senza conoscere soste, un adeguato utilizzo dello spirito critico si rivela essere ogni giorno sempre più fondamentale.
Fino a quando i principali chat bot basati sull’Intelligenza Artificiale classificavano o generavano solo immagini o dati numerici, in pochi si sono domandati se l’Intelligenza Artificiale potesse “pensare” o cosa potesse significare, in concreto, “pensare”.
Adesso che i chat bot basati sull’Intelligenza Artificiale hanno cominciato a interagire con noi attraverso il linguaggio naturale ci si è invece cominciato a chiedersi cosa comporti un’elaborazione come quella del pensiero e non casualmente, a mio avviso, dato che, inevitabilmente, è il linguaggio il principale mezzo che rappresenta il pensiero.
Ora, se il pensiero sia definito dal linguaggio o il contrario è difficile stabilirlo,(forse un buon linguaggio rappresenta semplicemente un pensiero lineare o forse un pensiero critico consente lo sviluppo di un linguaggio complesso o forse entrambe le cose) ma a prescindere dalle diverse implicazioni possibili e forse tutte vere è senza dubbio importante notare che avere contezza di ciò che siamo significa prendere coscienza di come pensiamo.
Come uno sportivo impara ad “ascoltare” il proprio corpo, noi dovremmo in effetti imparare ad “ascoltare” il movimento dei nostri pensieri ora che siamo chiamati a confrontarci con l’Intelligenza Artificiale perché, volenti o nolenti, essa è parte del nostro oggi e del nostro domani, così come lo sono Donald Trump, Elon Musk e la Cina di Xi Jinping.
Certo, pur ribadendo l’unicità del momento credo sia comunque notevole osservare, finalmente, che il tema della corsa allo sviluppo delle nuove tecnologie abbia come accennato un possibile impatto sulle nostre vite come lo fu lo sviluppo della bomba atomica nel 1945.
Alla fine della Seconda guerra mondiale, la ricerca si ritrovò in una condizione di inevitabile sviluppo dell’ordigno e non semplicemente perché probabilmente lo avrebbero fatto i tedeschi per primi ma perché la ricerca era approdata ad un punto di non ritorno. Oggi, non diversamente, la ricerca è approdata ad un punto di non ritorno mentre si osserva l’Intelligenza Artificiale e ciò che noi possiamo domandarci non è tanto come utilizzarla al meglio per impressionare gli amici su LinkedIn ma se siamo abbastanza preparati per farne un uso responsabile.
Ma di fronte a DeepSeek che ha in breve rivoluzionato il mercato e di fronte a OpenAi che ha presentato Deep Research, l’università di Standford che ha presentato STORM e l’Unione europea che ha stanziato 52 milioni di euro per i suoi modelli AI open source, proprio come se una qualche forma di conflitto fosse già cominciato, quali risposte possiamo darci?
Per quanto sia impegnativo (e forse pretestuoso) rispondere al divenire, senza dubbio è ogni secondo più evidente che le vere domande da porci di fronte a novità che gli stessi addetti ai lavori faticano a seguire con costanza sono: in quale società intendiamo sviluppare queste nuove potenzialità? E a quali valori intendiamo ispirarci nel mentre? Intendiamo sfruttare le potenzialità dell’Intelligenza Artificiale per regolare ogni aspetto della vita dei cittadini o intendiamo sviluppare in essi un senso critico che attualmente latita affinché siano in grado di fare un uso ragionevole della tecnologia? Intendiamo sviluppare nei giovani capacità che prescindono dall’uso della tecnologia stessa o intendiamo abbandonarli alla mercé di una deriva educativa nella quale si pensa che “Chat GPT risolverà tutti i miei problemi”?
E’ senz’altro interessante fare in conclusione i conti, ad ogni modo, con un fatto: un approccio riduttivo, riduzionista e ossessionato dalla specializzazione può ledere non poco allo sviluppo delle competenze dell’individuo il quale, finalmente, credo che presto si ritroverà nella condizione di tornare ad ascoltare chi ha contraddetto l’austera convinzione per cui “le materie umanistiche sono utili”…