La musica e il bello – di Alan Hicks

-La versione originale di questo articolo è stata pubblicata il 29 gennaio 2025 su New Liturgical Movement-

(La traduzione italiana dell’articolo è stata curata da Salvatore Scaletta) 

Si dice spesso che la bellezza è negli occhi di chi guarda e, almeno in apparenza, può sembrare che sia così. Un oggetto bello è sempre fonte di piacere – quello che chiamiamo piacere estetico – e a persone diverse piaceranno cose diverse. Chiaramente il piacere ha un’ovvia componente soggettiva, in quanto risiede in un soggetto umano con le sue proprie disposizioni e inclinazioni.
Eppure è oltremodo difficile negare qualsiasi oggettività alla bellezza o al piacere che essa genera; non ultimo è il riconoscimento che, sebbene a volte si possa differire nei giudizi su ciò che è bello, esiste anche un notevole accordo, che non sarebbe tale se la bellezza fosse puramente soggettiva. Ecco perché ci sono file di turisti al Grand Canyon, alle cascate del Niagara o alla Basilica di San Pietro; poiché tali oggetti, sia naturali che prodotti dall’uomo, hanno sempre posseduto un’attitudine universale a piacere. Solo grazie a questo elemento oggettivo, che pure lascia spazio al gusto soggettivo, è possibile educare e formare nei giovani il senso della bellezza e la sensibilità estetica.
Secondo la tradizione antica, ripresa ed elaborata nel corso dei secoli cristiani, l’oggettività della bellezza si fonda sul suo essenziale legame con ciò che è vero e buono. Perciò ha senso dire che una persona morale ha un’anima bella o anche che un atto umano è bello.

Pertanto, quando la donna del Vangelo unse il capo di Cristo con olio prezioso e fu rimproverata per aver sprecato ricchezza che avrebbe potuto essere usata per i poveri, Cristo rispose che il suo atto era kalos, tradotto letteralmente come “bello”1. Ne consegue quindi che una delle vie verso il bene sembrerebbe passare attraverso il bello, che oltre al suo potere affettivo di generare piacere, può contribuire alla formazione di un’anima virtuosa e morale. Solo con questa comprensione possiamo dare un senso alla frase spesso citata di Dostoevskij secondo cui “la bellezza salverà il mondo”2.
Il legame tra bontà, verità e bellezza è radicato nella loro natura di “trascendentali”, termine che indica attributi o proprietà che oltrepassano qualsiasi divisione o categoria dell’essere, il che significa che sono coestensivi all’essere stesso, accompagnando l’esistenza in tutte le sue forme3.  In quanto coestensivi all’essere, sono convertibili tra loro, tanto che possiamo dire che una cosa è sia vera che buona nella misura in cui esiste, e che, nella misura in cui esiste, è sia vera che buona. Da qui la loro identità.
Le loro differenze, invece, possono essere comprese nella loro relazione con noi. La bontà, ad esempio, è un aspetto trascendentale dell’essere inteso come desiderabile. Quanto alla verità, mentre possiamo dire che esiste primariamente nell’intelletto, nella conformità dell’intelletto a ciò che è, si può anche dire che esiste come proprietà dell’essere stesso in quanto ciò che esiste è conoscibile4. Sebbene la bellezza non sia identificata da Aristotele come una proprietà trascendentale, Platone vede il bene come sempre bello, e quindi sempre piacevole per le facoltà percettive dell’intelletto e dei sensi. Questa è essenzialmente anche la posizione di san Tommaso5.
San Francesco di Sales, in apertura del suo incomparabile Trattato dell’amor di Dio, descrive questo rapporto tra bontà e bellezza:

“Come ben dice il Dottore Angelico, San Tommaso d’Aquino, seguendo il grande San Dionigi, anche se bellezza e bontà concordano in una certa misura, non sono la stessa cosa. Il bene è ciò che piace al desiderio e alla volontà; il bello è ciò che piace ai sensi e all’intelletto. In altre parole, il bene è ciò che ci fa piacere possedere, mentre il bello è ciò che ci fa piacere percepire. Per questo attribuiamo la bellezza corporea in senso stretto solo all’oggetto dei due sensi che hanno la maggiore capacità di conoscenza e meglio servono l’intelletto, cioè la vista e l’udito. Non diciamo “questi sono begli odori o bei sapori”, ma diciamo giustamente “queste sono belle voci o bei colori”6.

Naturalmente noi desideriamo possedere oggetti belli, perché tali oggetti sono anche buoni, ed esiste un corrispondente piacere nel possederli. Ma la bellezza dell’oggetto in sé non può essere posseduta e goduta se non attraverso la percezione, e questa percezione e il suo conseguente piacere estetico possono essere, e spesso lo sono, relativi a cose che non possediamo in alcun senso materiale. Posso provare lo stesso piacere nel guardare un bel quadro di proprietà di un mio amico proprio come accade al mio amico, anche se non mi capiterà altrettanto spesso.
Ora, uno dei piaceri umani più diffusi è il piacere della musica e, a proposito di questa bellezza che soddisfa l’intelletto attraverso il mezzo del suono, possiamo chiederci: che cosa c’è nella musica che le conferisce la sua bellezza e il suo fascino? San Francesco di Sales è ancora una volta una ricca fonte di intuizioni: “L’unità stabilita all’interno di una varietà di cose diverse produce ordine. L’ordine produce armonia e proporzione, e nelle cose integre e complete l’armonia produce bellezza. Si parla di un buon esercito se tutte le parti che lo compongono sono disposte in modo tale che le loro differenze si riducono alle proporzioni relative necessarie a costituire un unico esercito.
Perché la musica sia bella è necessario non solo che le voci siano pure, chiare e ben distinte l’una dall’altra, ma anche che siano amalgamate in modo tale che la giusta consonanza e l’armonia risultino dall’unione in mezzo alla varietà e dalla varietà all’interno di quell’unione di voci. Non a torto, quindi, la musica è chiamata armonia discordante o discordanza armoniosa”7.

San Francesco prosegue nell’elaborazione degli ulteriori elementi propri dell’oggetto bello: lo splendore e la chiarezza. Ma per quanto significativo e profondo sia il suo breve discorso sulla bellezza, non ci aiuta a capire perché una persona possa apprezzare un determinato brano o forma musicale ma non un’altra, o perché due persone possano avere reazioni opposte allo stesso brano, differenze che contribuiscono alla percezione secondo cui la bellezza sia soggettiva e semplicemente “negli occhi di chi guarda”.

Per spiegare questa varietà di gusti sarebbe necessario esplorare le abitudini individuali e le disposizioni acquisite, in modo simile a come potremmo spiegare perché ciò che appare buono e quindi desiderabile a una persona potrebbe non esserlo per un’altra, anche assumendo la natura oggettiva del bene.
Anni fa, quando vivevamo nella Pennsylvania nord-orientale, io e mia moglie abbiamo iniziato a frequentare l’opera a New York. Ci preparavamo arrivando presto in macchina, a volte per fare acquisti e poi cenare. Dopo il caffè e il dessert, camminavamo per le strade alla luce del giorno che calava, godendoci la varietà di persone e luoghi, arrivando al teatro dell’opera poco prima dello spettacolo.

Sono ricordi preziosi, che ancora oggi danno un certo piacere alla memoria, misto a una nota di tristezza per un tempo che non c’è più. Erano momenti di unione, lontani dalle tante preoccupazioni che assillano le nostre vite, nella condivisione di una forma di espressione umana bella e edificante. Il teatro era grandioso, gli allestimenti e le scenografie elaborate, e le esibizioni erano di altissimo livello. Ma era la musica stessa a toccare l’anima con una bellezza commovente che esprimeva le emozioni e i desideri più alti del cuore umano.
Ora, è vero che la maggior parte delle persone apprezza la musica e i bambini di tutte le nazioni rispondono gioiosamente a canzoni e melodie semplici, perché la musica è in sintonia con la natura umana. Tuttavia, le espressioni musicali complesse non sono universalmente apprezzate e lo diventano solo con l’esperienza nel corso del tempo. Prima non apprezzavo l’opera e in effetti ero piuttosto scoraggiato dai tentativi di mia moglie di introdurmi ai suoi piaceri. Col tempo, però, è diventata una delle mie più grandi delizie. Non mi dilungherò qui sulla progressione di esperienze che mi hanno portato a cambiare la mia percezione dell’arte operistica, ma dirò solo che mentre l’arte è rimasta la stessa, c’è stato, nel tempo, un chiaro cambiamento in me, nella mia percezione e nel mio apprezzamento.
Tutto ciò dimostra che c’è una differenza tra il bene oggettivo o la bellezza di un oggetto e il valore che possiamo attribuirgli o il nostro apprezzamento; perché “bene” e “bello” denotano qualcosa di oggettivo, mentre “valore” e “apprezzamento” alludono alla nostra risposta soggettiva. Il piacere che riceviamo è senza dubbio collegato al bene e al bello, ma solo attraverso il valore; vale a dire, un oggetto buono o bello ci piacerà solo se lo vedremo come tale. E ci sono molti fattori personali che influenzano il modo in cui vediamo una cosa.
Sebbene all’inizio non mi piacesse l’opera, tutti noi abbiamo fatto l’esperienza di una cosa che “inizia a piacerci”, man mano che la conosciamo meglio e che quindi riusciamo a vedere il bene che c’è in essa.

A mia moglie piaceva l’opera e a me piaceva passare del tempo con mia moglie, ed è stato per questo motivo che mi sono sottoposto per la prima volta a quell’esperienza. Col tempo ho imparato ad apprezzare l’arte in sé. E così è per molte delle cose che alla fine arriviamo ad apprezzare. Nella nostra limitata comprensione e percezione, spesso non vediamo la piena realtà di un oggetto o la sua bontà a prima vista. Quando un giovane incontra una giovane donna bella di forma e di aspetto, è naturalmente attratto da lei. Tale attrazione può essere superficiale, ma non c’è nulla di sbagliato in questo: è semplicemente la natura delle cose. Un’altra donna potrebbe non essere così attraente al primo incontro; tuttavia, se ha l’opportunità di passare del tempo con lei, l’uomo inizia a vederla per quello che è veramente. Arriva ad apprezzare il fascino della sua personalità, i suoi modi femminili di pensare e di guardare il mondo, i suoi teneri sentimenti e le sue reazioni alle cose che la circondano. Il suo stesso aspetto inizia a cambiare man mano che diventa più familiare e lui la vede sotto una luce diversa. Con il tempo, l’uomo è in grado di riconoscere una bellezza più profonda e duratura, una bellezza da cui trae maggiore soddisfazione e piacere.
Questa progressione umana nell’ apprezzamento delle cose si verifica ripetutamente nel corso della vita umana. Alcuni gusti sono abbastanza universali e immediati, mentre altri sono solo quelli che chiamiamo “gusti acquisiti”. Nessuno, ad esempio, deve essere istruito ad apprezzare il cibo o le bevande. È una cosa istintiva e innata. Usciamo dal grembo affamati di latte materno. Tuttavia, mangiare diventa presto un’attività più complessa man mano che il suo oggetto diventa più vario e differenziato. La capacità di apprezzare determinati tipi di cibo o bevande non è innata, ma è un gusto coltivato che si sviluppa nel tempo, con gusti culinari che si formano in base a fattori ambientali di cultura e famiglia uniti alle proprie abitudini ed esperienze personali.

Detto questo, esistono indubbiamente modi migliori e peggiori di mangiare da un punto di vista oggettivo per quanto riguarda la salute umana.
Ora, se il piacere seguisse immediatamente il bene oggettivo, allora i cibi migliori sarebbero sempre quelli che procurano più piacere. Tuttavia, per un bambino, ciò che viene percepito come “migliore” può differire notevolmente dal giudizio di un adulto. Se a un bambino viene permesso di sviluppare cattive abitudini alimentari, avrà un’inclinazione verso ciò che non è sano e proverà generalmente repulsione per ciò che lo è. Il trucco consiste quindi nel formare l’abitudine, facendo così corrispondere il valore al bene oggettivo. Se un bambino viene cresciuto in un ambiente in cui la cucina è governata dalla ragione e non dal semplice desiderio, non avrà altra scelta che mangiare ciò che è sano. Di conseguenza, col tempo svilupperà un gusto per i cibi sani, e quindi mangerà meglio perché questo è ciò che gli piace.
Infatti, tutto ciò che è conforme a una cosa secondo la sua natura è piacevole, e poiché l’abitudine esiste come una sorta di natura – ciò che chiamiamo “seconda natura”8– quegli atti consoni a un’abitudine sviluppata sono naturalmente piacevoli9. Ciò è vero non solo per quanto riguarda i gusti culinari o il gusto per la musica e l’arte, ma anche in campo morale, perché la virtù è una disposizione acquisita non meno del senso estetico. È così che Aristotele vede il piacere o il dolore provati da un uomo nella sua attività morale come un’indicazione del suo vero carattere. Nelle sue parole: “ogni persona virtuosa si rallegra degli atti virtuosi, perché nessuno chiamerà giusto un uomo che non gode nel compiere azioni giuste; nessuno chiamerà generoso un uomo che non gode nel dare generosamente.”10

Per questo motivo, secondo Aristotele, l’educazione morale è necessariamente legata al piacere e al dolore, e consiste nell’educare l’individuo a provare gioia e dolore per l’oggetto appropriato e nel momento opportuno11.

 

1 Marco 14, 6.

2 Fëdor Dostoevskij, L’idiota.

3 NdT: i trascendentali oltrepassano, trascendono appunto, le divisioni tra gli enti perché si dicono di
ogni “cosa” che è, proprio perché è. In termini filosofici, i trascendentali si distinguono concettualmente dagli enti ma sono ad essi coestensivi. I più noti, ma non gli unici, sono l’uno («unum»), il vero («verum»), il buono («bonum»): essi indicano che ogni cosa è una, vera e buona –tanto più essa è. Si veda https://disf.org/editoriali/2015-02

4 Tommaso d’Aquino, Questiones disputatae de veritate, Q.1 a. 2.

5 Ibidem, I, 5, 4.

6 Francesco di Sales, Trattato dell’amor di Dio.

7 Ibidem.

8 NdT: l’espressione anglosassone “second nature” fa riferimento ad un’azione istintiva, ben radicata,
naturale, talmente familiare da poter essere facilmente compiuta senza bisogno di riflessione alcuna.

9 Tommaso d’Aquino, Commento all’Etica Nicomachea di Aristotele.

10Aristotele, Etica Nicomachea, libro I, capitolo 8.

11 Ibidem, libro II, capitolo 3.