Brexit: un anno dopo…

“Siamo come Tories a Pamplona”. No, non è una rivisitazione musicale di una canzone, è il divertente slogan che ha dominato i social dopo l’esito delle elezioni in Gran Bretagna.

Bello e stupido. Stupido ma bello attenzione. Umberto Eco nel “Pendolo di Focault”, lascia i protagonisti interrogarsi sulla stupidità così:

“E lo stupido?”

“Ah. Lo stupido non sbaglia nel comportamento. Sbaglia nel ragionamento. E quello che dice che tutti i cani sono animali domestici e tutti i cani abbaiano, ma anche i gatti sono animali domestici e quindi abbaiano. Oppure che tutti gli ateniesi sono mortali, tutti gli abitanti del Pireo sono mortali, quindi tutti gli abitanti del Pireo sono ateniesi.”

Per l’appunto i tories sono leoni. Non tori.

Un tentativo di difesa del partito conservatore? Nient’affatto. Mi sarei giocato altre carte…

Sofismo forse, va bene. Ma il punto è un altro.

Da Brexit ad oggi ho letto decine di anatemi contro i conservatori. Anatemi, si badi bene, generalmente ispirati dalla sterile faziosità, vizio politico e intellettuale necessario per continuare in qualche modo a schematizzare una realtà spesso e volentieri ormai troppo complessa per essere descritta con parole e concetti degni del secolo scorso.

Ho letto ad esempio che ogni conservatore meritasse un sonoro “fuck off” per aver decretato la fine dell’Unione europea… Ho letto inoltre che fino a prova contraria forse è stata tutta colpa del neoliberismo, ancora una volta.

La cosa veramente divertente sapete qual è?  Nessuno ha ancora capito cos’è Brexit.

Ad un anno dal referendum alcuni effetti collaterali sull’economia britannica sono ancora al centro dell’attenzione.

Il forte calo della sterlina, ad esempio, iniziato immediatamente dopo il referendum, ha continuato ad essere il principale driver dell’aumento dell’inflazione. A sua volta l’inflazione, spinta dai costi, ha continuato a mettere a dura prova la fiducia dei consumatori e i livelli reali di reddito: entrambi fattori che possono generare venti contrari e che meritano di essere attentamente monitorati in considerazione del fatto che l’economia inglese resta fortemente trainata dai consumi.

Naturalmente avere un “hung Parliament” cioè un Parlamento impiccato, non giova a nessuno: ci troviamo di fronte alla reale possibilità che si verifichi una nuova battaglia per la leadership all’interno del Partito Conservatore e, potenzialmente, anche nuove elezioni generali.

Jeremy Corbyn, il leader del partito laburista è in forte ascesa e potrebbe non perdonare un passo falso del Primo ministro…

Va da sé che questa rinnovata incertezza non possa giovare in nessun modo ai negoziati tra il Regno Unito e Bruxelles.

Nel lungo termine, non dimentichiamolo, l’impatto della Brexit dipenderà in gran parte dalle relazioni commerciali. È importante sottolineare che, nell’eventualità in cui saranno alzate barriere commerciali più forti, queste avranno sicuramente un’influenza negativa sulla crescita e sulla produttività nel breve e nel medio termine. Non solo in Gran Bretagna ma anche, e soprattutto in Europa. Tuttavia, molto dipenderà dall’avanzamento dei negoziati nel corso dei prossimi due anni: è ancora troppo presto per prevedere quale potrebbe essere l’impatto sui mercati finanziari. Il crollo della sterlina dopo le elezioni è stato relativamente modesto (meno del 2% rispetto a valute simili). Il danno è stato, come dire, contenuto…

Se si considerano la mitezza delle vendite al dettaglio, i prezzi degli immobili e i redditi aggiustati all’inflazione, si può notare chiaramente che lo slancio di crescita economica del Regno Unito si stia affievolendo gradualmente. In quest’ottica, il risultato delle elezioni UK e l’incertezza legata alla Brexit suggeriscono che questo trend continuerà. La politica monetaria della Bank of England rimane dovish (dovish è una parola inglese molto spesso utilizzata nelle analisi delle condotte di politica monetaria delle banche centrali. Letteralmente, deriva da “dove” (’colomba’) e per associazione analogica alle caratteristiche dell’animale docile, pacifico e positivo connota una linea di condotta morbida, in contrasto con la linea dura che, invece, definisce l’atteggiamento “Hawkish”, da falco).

Tornando alla politica, è possibile che la nuova e più debole amministrazione dei Conservatori potrebbe in futuro attuare minore austerità e politiche fiscali più rilassate, ma il piano in definitiva qual è?  È altrettanto probabile che da qui ai prossimi anni si continui a perseguire l’obiettivo di ridurre il rapporto debito/PIL del Paese per non peggiorare la situazione e resistere, ma le agenzie di rating si stanno innervosendo e la probabilità di assistere a declassamenti del rating del credito UK sono in aumento…

Come se non bastasse il terrorismo è tornato a minacciare il Regno Unito.

L’instabilità profonda del paese si aggrava e sul tavolo le proposte per tornare ad avere un ruolo nello scacchiere internazionale si moltiplicano. Brexit per molti è infatti una possibilità per il Regno Unito di tornare a riallacciare i rapporti con le ex colonie, ma come? Paesi come India e Sud Africa quali interessi possono avere? Il Regno Unito ha investito molto in ricerca e sviluppo negli anni: non solo finanza ma anche start-up e innovazione. Londra mantiene ancora un fascino non indifferente per gli investitori ma non basta: occorre mantenere una serie di garanzie che possono sopravvivere solo da una corretta gestione dei rapporti con i paesi dell’Unione.

Un giorno ricorderemo questi anni come anni di grandi cambiamenti: ancora una volta la Gran Bretagna (e non è la prima volta nella storia) è chiamata a scrivere le pagine del mondo che sarà. Confidiamo tutti nella difesa del ruolo di Londra come fondamentale piazza di sviluppo per la finanza e l’innovazione, ma quali leader saranno capaci di mantenere e difendere questa realtà?

Nel paese aumenta la voglia di laburismo, soprattutto tra i giovani ma ci sono sfide che vanno ben oltre le bandiere e Tony Blair, brillante primo ministro laburista lo sapeva bene quando abitava a Downing Street. Talmente bene da non muovere un dito per modificare molte riforme thatcheriane, in particolare nel settore della concorrenza, della competitività e dei servizi pubblici.