La morte della politica

Quando ho cominciato la stesura di questo articolo, la possibilità che Mario Draghi ricevesse l’incarico di formare un governo era semplicemente un’ipotesi e il titolo di questo articolo aveva il punto interrogativo alla fine.

La decisione di rimuoverlo è stata suggerita dagli sviluppi degli ultimi giorni, sviluppi che hanno confermato le tesi che avevo in mente nel momento in cui ho deciso di denunciare definitivamente le precarie condizioni di salute della nostra classe dirigente.

Nel momento in cui il Qurinale ha annunciato che avrebbe convocato Mario Draghi per incaricarlo di sciogliere il nodo della crisi istituzionale apertasi a dicembre, si è reso infatti evidente agli occhi di tutto il mondo quanto i rappresentanti delle principali forze politiche italiane fossero incapaci di dialogare e di lavorare quindi ad un progetto credibile per il paese.

Per ironia della sorte, nelle ore precedenti la decisione del Presidente della Repubblica, avevo iniziato la lettura de “Il tramonto della politica” (2017), un interessante saggio di Emanuele Severino non poco utile per comprendere la disfatta dell’elettorato passivo in Italia di fronte la storia.

In sintesi, l’autore riprende e sviluppa temi come il rapporto tra politica, tecnica e filosofia e propone una chiave di lettura unica per smascherare (e spiegare) il significato della volontà di disfarsi di quella adesione alla verità assoluta che il presente già da tempo ha dimostrato di voler abbandonare.

In altre parole, quello che spesso ci sembra uno scontro (quasi) epocale tra valori è in realtà semplicemente l’espressione di una battaglia di retroguardia tra diverse “verità” che ambiscono a spiegare il mondo attraverso il filtro della loro visione; tuttavia, appare chiaro che ogni tentativo di esternalizzare la propria essenza sia destinato a scontrarsi inevitabilmente contro la tecnica, la quale non è più un mezzo, ma un fine, un’ossessione, destinata a soggiogare il capitalismo stesso.

In questo processo, il capitalismo, dopo aver trionfato sul comunismo anche grazie alla tecnica, ha continuato a servirsene per alimentare la propria natura; ciononostante, dopo aver emarginato la politica, la tecnica ha acquisito talmente tanta importanza da svuotare il capitalismo stesso dei suoi scopi.

Come conseguenza di quanto appena scritto, la politica non ha saputo interpretare il corso della storia e subendola ha cercato di vivere di rendita, cioè di sopravvivere.

Come anticipato, l’ingresso in scena di Mario Draghi ha confermato gran parte delle tesi che vedono la politica soccombere alla tecnica. Nella fattispecie, Mario Draghi rappresenta la tecnica in una declinazione che significa “competenza” ma soprattutto “esperienza”. Il suo arrivo, si spiega infatti proprio nell’impossibilità dei politici di capire e quindi di agire.

Passare da chi ha denigrato il merito facendo del motto “ognuno vale uno” un simbolo all’esperienza di un uomo che ha già dimostrato di saper gestire una crisi, è bastato poco; la vera domanda ora è: quanto tempo impiegherà la politica per recuperare la fiducia degli elettori? Quanto tempo servirà, di conseguenza, prima che l’impegno politico torni ad essere sinonimo di servizio?

Una partecipazione politica all’ipotetico esecutivo Draghi sarebbe teoricamente auspicabile nel contesto di un confronto costruttivo con le forze politiche ma le forze politiche saranno all’altezza? Non di Draghi, si badi bene, ma del compito in sé?

Il punto è proprio è questo. In gioco non c’è solo il nostro destino come lavoratori in un sistema capitalistico in subbuglio ma anche il nostro ruolo di cittadini in una società fondata sui valori della democrazia.

Se la politica non sarà in grado di elevarsi al di sopra della sua stessa storia e di guardare oltre gli orizzonti delle tante “verità” che pretende di vendere non avrà futuro realmente. Se la politica non sarà in grado di riacquistare una seria concretezza e non saprà fare di questa stessa virtù un valore non avrà né corpo né anima di fronte alla velocità della tecnica.