La storia siamo noi

Ripensando al Molise oggi tra un caffè e un altro, mi sono sorpreso nel ricordare la mia bisnonna, la nonna di mio padre. Ho vaghi ricordi di questa donna: ricordo, ad esempio, che morì nel 2002 alla veneranda età di centodue anni. Morì quindi dopo aver attraversato quello che Eric Hobsbawn definì “Il secolo breve”. Quando aveva quindici anni, l’Italia scese in guerra contro le potenze della Triplice Alleanza: negli anni a seguire, nel corso dunque degli anni della sua adolescenza dovette confrontarsi con tutte quelle difficoltà che solo una guerra può portare, difficoltà che fortunatamente la mia generazione ha conosciuto solo attraverso i libri. La mia bisnonna non poteva andare a combattere ma se fosse nata maschio, magari un anno prima, nel 1899, sarebbe stata richiamata sul fronte nel 1917.
Pochi anni dopo la fine del conflitto, l’umanità fu travolta dall’influenza spagnola, dalla crisi economica e infine dal fascismo. Quando le camicie nere marciarono su Roma nel 1922, la mia bisnonna aveva 22 anni.
Quando Benito Mussolini dichiarò guerra a Francia e Inghilterra nel 1940, aveva 40 anni. Visse quindi interamente gli anni che seguirono cercando, immagino, di difendere la sua famiglia e di procurarsi da mangiare come poteva.
Fortunatamente nella mia famiglia si è sempre rispettata la terra e credo sia stato comunque possibile gestire la penuria di quegli anni, tuttavia la paura che potesse accadere l’impensabile e che qualcuno potesse fare male alla tua famiglia credo non si dimentichi facilmente. Dopotutto, la guerra è prima di ogni cosa devastazione.
Quando le potenze dell’Asse cedettero, i paesi del Vecchio continente decisero di unire le forze e fare un passo avanti: l’Europa Unita nacque sulle ceneri infatti di una guerra, quando prevalse l’interesse comune e la volontà di unire le forze.
Va bene, ci fu poi il boom economico, molti errori furono commessi ma quando la mia bisnonna morì, come già scritto nel 2002, il mondo non era ancora libero dalla paura: appena un anno prima avevamo scoperto la parola “jihad”. Purtroppo, dopo la morte della mia bisnonna molti problemi non sono stati risolti: nel 2008 ha avuto inizio una crisi economico-finanziaria di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze, proprio in questi giorni in cui siamo costretti a confrontarci con il Covid-19, un’Unione europea sempre meno unita, disinformazione e chiacchiericcio sterile che un giorno sì e un giorno pure mette al centro un complotto.
Mi domando, e vi domando, infine: è vero che tempi avversi creano uomini (e donne) forti?
Probabilmente più consapevoli della loro presenza e dei loro doveri?
In tempi di grande paura, non posso non credere che probabilmente non solo la mia generazione ma anche quella che oggi si divide tra elettori poco informati ed eletti poco competenti, si stia perdendo in un bicchiere d’acqua.
Dal prevalere dell’interesse delle singole nazioni, emerge quanto sia facile cedere all’egoismo. Settant’anni fa prevalse l’interesse comune perché questo le persone come la mia bisnonna volevano; oggi vince l’interesse della singola nazione perché questo vogliono invece gli elettori e i politici, che eseguendo diligentemente la volontà dei loro sostenitori si comportano come burocrati e non come veri politici appunto.
Non vorrei valutare nel merito questioni che non mi competono perché non ho gli strumenti necessari per farlo, mi rattrista molto tuttavia pensare che probabilmente, ancora una volta, come già è accaduto nel 2001 e nel 2008, non impareremo niente dalla storia come invece ha fatto la mia bisnonna.
A proposito di disinformazione e giudizi approssimativi, la “jihad” non è stata solo lotta armata: la “jihad”, per i mussulmani è una lotta che il fedele combatte contro quelle avversità che impediscono di vivere rettamente la propria vita spirituale. La “jihad” è prima di ogni cosa quindi impegno e sacrificio contro il male, non omicidio. E’ vero, come anticipato, che in determinai momenti storici, la “jihad” fu strumentalizzata per ragioni politiche ma anche noi cristiani, molti secoli fa, abbiamo ucciso in nome della fede nascondendoci dietro uno scudo sul quale era stato scritto “guerra santa”.
Quando la mattina dobbiamo rinunciare al tepore del nostro letto per dedicarci allo studio, all’esercizio o al lavoro stiamo compiendo una lotta contro l’ozio, stiamo combattendo quindi una “jihad” contro qualcosa che rischierebbe di allontanarci dai nostri doveri.
Nonostante nessuno abbia dovuto affrontare una guerra o una carestia, tutti percepiamo che dentro abbiamo qualcosa di rotto quando stiamo a casa. L’informatica e la domotica ci hanno reso tutto semplice ma non ci hanno dato nessuna risposta e a differenza della mia bisnonna molti di noi cercano la felicità rifugiandosi nell’assurdità di cose che dimentichiamo molto velocemente.
Ripensando che non può esistere progresso e sviluppo senza conoscenza del proprio “io”, cioè della propria condizione umana, mi domando, e vi domando, se la filosofia, intesa come strumento di riflessione sui problemi e sui limiti, non possa finalmente tornare ad essere quell’anello mancante che ci consentirà di stare veramente bene.
Dopotutto, Bertrand Russell affermava che “Il valore della filosofia va in larga misura cercato proprio nella sua incertezza”; non appena ci accostiamo alla filosofia scopriamo che anche le cose quotidiane conducono a problemi ai quali possiamo dare solo risposte molte incomplete ma sono pur sempre risposte!
Vorrei augurare a tutti una nuova “jihad”: una lotta contro la pigrizia e l’odio per iniziare a interrogarsi su sé stessi e su che cosa vogliamo costruire e lasciare in eredità.