Una Medusa americana

In queste ore si parla molto dell’affare Versace e del significato dell’operazione che ha portato Michael Kors a comprare la Medusa.

L’ennesimo marchio del lusso italiano che finisce in mani straniere, si dice, ma concretamente cosa possiamo imparare da tutto questo?

Due cose fondamentalmente: l’eccellenza italiana, cioè la capacità di rielaborare risorse e creare valore, suscita ancora interesse (molto interesse) agli occhi del mercato e degli investitori; siamo tuttavia visionari, bravi, ma forse non abbastanza ambiziosi.

Le ragioni che hanno spinto la famiglia Versace a vendere possono essere molteplici, resta una domanda: perché in Italia non esiste un gruppo come LVMH?

Perché non esiste insomma una realtà imprenditoriale non solo capace di creare valore ma anche di fare rete?

Vero, ci sono molte aziende italiane che investono all’estero come Ermenegildo Zegna ma LVMH, un gruppo multinazionale che colleziona brand del lusso, è francese, non italiano.

Fortunatamente il passaggio di proprietà in molti casi si traduce in investimenti e crescita, non in perdita di lavoro in Italia (le nostre competenze ci difendono).

Al made in Italy va insomma imputato un difetto di dimensioni, se vogliamo, perché sono i grandi investimenti che mancano.

A monte però si pensi a quanto sia obsoleto il sistema del credito italiano: troppo vincolato alla politica e troppo poco aperto all’innovazione, ai moderni sistemi di finanziamento come il crowd funding… ma questa è un’altra storia.

Per il marchio della Medusa, Michael Kors avrebbe sborsato 2 miliardi di dollari (1,7 miliardi di euro circa), una valutazione di 2,7 volte il fatturato, un multiplo in linea 2,8 volte mediamente utilizzato per valorizzare un’azienda del settore.

Dopo l’ingresso del fondo Blackstone nel 2014 (che aveva rilevato il 20%) si era parlato di una possibile quotazione in borsa.

Negli ultimi 5 anni il fatturato dell’azienda ha fatto un balzo del 63%, superando la media di altre società di moda.

Nel contempo la redditività si è però abbassata, con la marginalità operativa sul fatturato scesa dal 10% del 2013 al’1% (elemento che ha suggerito di rimandare la quotazione sui mercati finanziari).

Le previsioni di crescita e il capitale (237 milioni e appena 50 milioni di debiti finanziari) hanno incoraggiato così Kors a provarci.

Gli azionisti di Kors hanno accusato il colpo e a Wall Street il titolo ha perso l’8,5%.

E adesso? Donatella Versace sembra continuerà a curare le creazioni per cui da un punto di vista stilistico non dovrebbero esserci forti shock; le nuove risorse porteranno la casa di moda fondata da Gianni Versace a fare il grande passo verso la finanza?