L’arte di vincere secondo Nike

“Non volevo a nessun costo lavorare per qualcun altro. Volevo costruire qualcosa che fosse mio, qualcosa da poter indicare e dire: l’ho fatto io. Era l’unico modo che conoscevo per dare un senso alla vita”

Così parlava Phil Knight, imprenditore statunitense noto per essere stato il fondatore di Nike.

Tutto è iniziato con la Blue Ribbon Sports, una società che importava scarpe giapponesi Onitsuka per rivenderle negli Stati Uniti; oggi Nike, dopo lunghe battaglie per imporsi sul mercato è un gigante dell’industria dell’abbigliamento sportivo, il suo fatturato annuo è di 34 miliardi di dollari, i suoi dipendenti sono oltre 74 mila.

Com’è stato possibile?

5 sono i segreti  che Phil Knight ha rivelato al suo biografo:

1. “Se la mia vita doveva essere tutta lavoro e niente gioco, volevo che il mio lavoro fosse un gioco”:

Knight ha cominciato come contabile in alcune imprese. Le cose sono cambiate però molto presto: “Volevo quello che tutti vogliono. Essere me stesso, a tempo pieno”. Fu così che unì la passione per l’atletica leggera e lo sport con il suo spirito imprenditoriale fondando nel 1964 la Blue Ribbon Sports, diventata Nike sette anni più tardi.

Il suo team era composto da coloro che “non si adattavano alle stupidaggini aziendali. Quelli che volevano fare del lavoro un gioco. Ma anche dargli senso”.

2. “Cameratismo, lealtà, gratitudine. Persino amore”:

Le riunioni del team erano soprannominate Buttface (“facciadaculo”): “Coglieva l’atmosfera informale di quei ritiri, dove nessuna idea era così inviolabile da non poterla dissacrare e nessuno era così importante da non poterlo ridicolizzare, ma riassumeva anche lo spirito, la mission e la cultura aziendale. […] Cameratismo, lealtà, gratitudine. Persino amore”. A volte le riunioni proseguivano fuori dagli uffici, in un bar chiamato Nido del Gufo in cui discutevano “fino allo sfinimento, parlando tutti insieme, un rito corale di nomi e dita puntate, il tutto reso più rumoroso, divertente e a volte anche più chiaro dall’alcol”.

3. “Non dire mai alle persone come fare le cose”:

“Non dire mai alle persone come fare le cose. Dì loro cosa fare e ti sorprenderanno con la loro ingegnosità”.

4. “NON SOLO DI PROFITTI VIVE UN’AZIENDA”:

“Mi rendo conto che per alcuni fare affari significa perseguire il profitto a oltranza, punto e basta, ma per noi, dire che il nostro solo scopo era fare soldi era come dire che il solo scopo di un essere umano è produrre sangue. […] Come tutte le grandi aziende, anche noi volevamo creare, contribuire, e avevamo il coraggio di gridarlo. Quando fai qualcosa, quando migliori qualcosa, quando fai nascere qualcosa, quando aggiungi una cosa o un servizio nuovo alla vita degli altri, rendendoli più felici, o più sani, o più sicuri, o migliori, e quando lo fai in modo in incisivo ed efficiente, in modo brillante, nel modo in cui si dovrebbero sempre fare le cose – anche se è raro che sia così -, partecipi con maggiore pienezza al grande dramma di tutta l’umanità. Anziché vivere e basta, aiuti gli altri a vivere più pienamente, e se questo è fare affari, bene, allora chiamatemi un uomo d’affari”.

5. Seguire la propria vocazione:

“Direi a quelli che non hanno ancora trent’anni di non accontentarsi di un lavoro, di una professione, e neppure di una carriera. Di cercare una vocazione. Anche se non sanno cosa significa, la devono cercare. Seguendo la propria vocazione, la fatica sarà più facile da sopportare, le delusioni fungeranno da carburante, e proveranno soddisfazioni mai provate prima. […]. E quelli che invitano gli imprenditori a non rinunciare? Sono ciarlatani. A volte devi rinunciare. A volte, sapere quando rinunciare, quando provare qualcos’altro, è un colpo di genio. Rinunciare non significa fermarsi. Non fermatevi mai”.