Le ragioni per cui abbiamo ancora un altro muro da abbattere…
Mi è giunta voce che gli studenti italiani sono tornati in piazza per protestare.
Questa volta contro l’alternanza scuola/lavoro.
Curioso. Soprattutto in un paese dominato dai paradossi, dai dubbi esistenziali, dall’ignoranza storica che permea e influenza ogni aspetto della sua vita sociale ed economica…
Studiate ciò che volete ma nel frattempo imparate linguaggi di programmazione e poi mandatemi il curriculum.
Così, (riassumendo) ha parlato Tim Cook a dei liceali a Firenze.
Mentre l’amministratore delegato di Apple, nonché erede del potere spirituale di Steve Jobs, parlava a Firenze, in molte piazze d’Italia altri studenti protestavano contro l’alternanza scuola/lavoro.
Amo i paradossi. Sono l’essenza della vita: da un lato, Tim Cook, il produttore dei sogni che veniva applaudito perché decretava la sostanziale indifferenza fra gli indirizzi dell’istruzione, fagocitati tutti dalla supremazia della professione informatica; dall’altro, intanto, cortei e slogan che si scagliavano contro una legge che tenta di far imparare agli adolescenti la complessità del mondo del lavoro già mentre studiano.
Mentre degli studenti si lanciavano contro McDonald’s per protestare contro una multinazionale che costringe gli adolescenti all’apprendistato di un lavoro odioso, degli altri studenti riservavano ovazioni al capo della Apple quando diceva che, da adolescente, il suo sogno era di amare il proprio lavoro.
Non mi piace lavorare gratis. Una forma di retribuzione deve esserci sempre.
Si badi bene però: questa forma di retribuzione non deve necessariamente essere immediata.
Ho avuto la fortuna crescendo di comprendere che il presente, si va bene, conta, ma fino ad un certo punto.
C’è un qui ma c’è anche un qui e un domani ed è verso il domani che ho sempre guardato.
Sono arrivato a comprendere questo aspetto di me lavorando e confrontandomi con una realtà che tra i banchi dell’università non avrei conosciuto.
Quando toccò alla mia generazione scendere in piazza ricordo che lo fece in maniera molto animata. Peccato che 8 persone su 10 con le quali mi trovavo a chiacchierare non avevano la benché minima idea della ragione per cui scendevano in piazza.
Molti di noi probabilmente non lo ricordano neppure.
Dopotutto il tempo aiuta a concentrarsi sulle cose veramente importanti…
Il tempo e l’esperienza.
Sapete perché la mia generazione non ha idea di cosa farà nella vita? Sapete perché vive di paure e di pessimismo? Perché nessuno ci ha mai aiutato a conoscerci veramente.
Più di dieci anni di studio dedicati al nozionismo sono serviti a trasmettere non conoscenza e spirito critico ma ansia da prestazione e cieca convinzione che esistano solo buoni voti ed esami da superare.
La vita però va oltre.
Cosa potrebbero imparare gli studenti lavorando?
Prima di tutto quanto poco ne sanno delle difficoltà (e delle bellezze) del mondo del lavoro e delle sue dinamiche più profonde, l’umiltà, il rapporto con un cliente e con i superiori, il rispetto, la responsabilità, l’ambizione…
Potrebbero imparare che nella vita per ottenere qualcosa ti devi battere come un leone perché le utopie non esistono e non siamo tutti uguali, potrebbero imparare che buona parte di quello che si impara a scuola nella vita vera è inutile, potrebbero imparare cosa significa fare business, potrebbero imparare cosa vuol dire partire dal basso per arrivare a diventare qualcuno…
Potrebbero addirittura imparare ad apprezzare ciò che hanno, potrebbero smetterla di parlare male della Apple mentre chattano con un iPhone, potrebbero smetterla di scrivere su Facebook “Mai una gioia” mentre organizzano vacanze e feste con dei soldi di cui non apprezzano il valore…
In molti Paesi gli studenti fanno un periodo di scuola-lavoro obbligatorio di tre mesi, senza oneri per l’azienda se non quello di iniziare a far capire, dal basso, cosa significhi lavorare.
Non si tratta di “schiavizzare” gli studenti, ma semplicemente di offrire loro la possibilità di fare un’esperienza di vita vera.
Parliamoci chiaro, in un’azienda altamente specializzata un giovane che dimostra di valere in quei tre mesi probabilmente sarà ricercato dall’azienda al momento opportuno…
Di questo passo, se non andiamo oltre, continueremo a coccolare “legioni” di studenti che a 30 anni, senza aver fatto un solo giorno di lavoro e senza avere idea di come funzioni il mondo del lavoro, pretendono di essere ottimamente retribuiti fin da subito, in virtù del solo fatto che hanno studiato per anni.
Non funziona affatto così, e sarebbe molto meglio comprenderlo prima.
E adesso, per cortesia, non venite a dire che assumere uno studente per tre mesi sottrae lavoro ad un altro lavoratore perché non è vero e dimostrate chiaramente quanto poco comprendete le dinamiche di un’azienda.
Errori e orrori comunque sono dappertutto: l’istruzione italiana non è da meno.
L’istruzione italiana pretende di mettere toppe ad un vestito logoro e da buttare: un sistema educativo vecchio e incapace di rispondere alle esigenze del mondo di oggi.
Molte aziende a loro volta commettono l’errore di non puntare più sulla formazione e la ricerca, sacrificando in maniera evidente il loro futuro (senza una prospettiva fondamentale quindi).
Se tiriamo le somme sapete alla fine dove cade gran parte della responsabilità? Sui policy maker che non sanno cosa fare.
Possiamo sperare in un cambiamento dal basso, dalla mia generazione appunto, ma quando vedo i canditati policy maker del domani capisco che anche loro non hanno imparato niente dal passato…
Io continuo comunque a crederci nella mia generazione e ai suoi talenti per cui continuo a guardare (ovviamente) al domani con fiducia.
Avanti, è il momento di tirare fuori “le palle” e guardare la realtà negli occhi: l’unica schiavitù che esiste è arrendersi facendo qualcosa che non piace. Nessuno ci garantisce il lavoro della vita o uno stipendio da sogno…queste sono cose che si conquistano con l’impegno.
Se c’è allora un muro da abbattere è proprio quello della pigrizia.