Quo vadis Amazon?

La multa della Commissione ad Amazon ha il sapore della sconfitta: 250 milioni di euro.

A tanto ammontano gli aiuti di Stato che il colosso di Seattle avrebbe percepito in maniera non convenzionale (sotto forma di sconto fiscale per intenderci) dal Lussemburgo in 10 anni.

Una cifra che vale appena il 10% dell’utile Amazon 2016.

Un anno fa Bruxelles era stata molto più severa nei confronti di Apple: l’Irlanda era stata condannata a recuperare da Cupertino 13 miliardi di euro, quasi un terzo dei profitti 2016.

L’enorme differenza tra i due casi risiede tutta nell’abilità di Jeff Bezos di giocare con i sistemi fiscali del Vecchio continente, (oltre che nell’assoluto disinteresse a cercare l’utile privilegiando invece la corsa all’aumento del valore titolo in Borsa sulle aspettative future).

Due deputati socialisti olandesi, Henri Bussink e Paul Tang, hanno realizzato un approfondito studio sulle tecniche con cui i giganti della rete (da Facebook a Google) riescono a eludere il fisco. Il caso di Amazon, è tuttavia unico perché fino al 2015 i ricavi erano contabilizzati (e quindi tassati) solo in Lussemburgo, mentre i suoi clienti sappiamo bene essere sparsi ovunque grazie a numerosi siti nazionali. Infine non bisogna dimenticare il tax ruling che di fatto nel Granducato portava l’imposizione ad un livello di fatto irrisorio.

La prima ammissione di colpevolezza di Amazon è arrivata nel 2015, quando con l’avvio dell’indagine della Commissione Ue il gruppo annunciò che avrebbe iniziato a pagare le tasse in Gran Bretagna e Germania. “A differenza di Google e Facebook – scrivono Bussink e Tang – Amazon quasi non fa profitti, o meglio, non registra utili. Tra il 2013 e il 2015 stimiamo che la sua redditività in Europa sia stata tra lo 0,3 e il 5% con una perdita netta nel 2014. E’ quanto meno sospetto, ma rende difficile stimare quante imposte abbia eluso all’interno della Ue”.

I due eurodeputati, però, ignorano che ad Amazon interessa poco o nulla fare utili: i timidi profitti dipendono solo dalla vendita di servizi cloud (l’affitto dei server online) e non certo dal retail. D’altra parte a Bezos e ai suoi azionisti interessa soprattutto la valutazione del titolo in Borsa. E una capitalizzazione di 460 miliardi di dollari è giustificata solo dalle attese di ritorni futuri: ai corsi attuali la società vale 3,7 volte il fatturato. Un multiplo che non ha uguali tra nessuno dei principali competitor del gruppo: Walmart, Macy’s, Costco, Best Buy, Target, Metro, Rakuten, Kohl’s, Walgreens hanno ormai sviluppato modelli misti tra il punto di vendita fisico e quello digitale, ma sono valutate una volta scarsa il fatturato.

Insomma il mercato sembra convinto che Amazon possa proseguire ancora a lungo la sua fase di espansione e quindi non abbia senso iniziare a monetizzare sul business retail dove continua a perdere.

D’altra parte, se Amazon smettesse di crescere in maniera così aggressiva ed iniziasse a mettere a profitto il suo posizionamento alzando i prezzi, non avrebbe più senso riconoscere una valutazione di mercato con un multiplo così alto…un vicolo cieco?

Considerato soprattutto che i valori dovrebbero allinearsi a quelli dei competitor facendo crollare la capitalizzazione di mercato…

Nessuno degli azionisti vorrebbe trovarsi con una montagna di titoli che improvvisamente valgono la metà dell’attuale valore, questo è certo.

Quo vadis Amazon?