Torneremo mai “A riveder le stelle”?

In questi giorni così afosi e, all’apparenza sempre più assurdi, mi è di fatto capitato di leggere qualcosa che è ben triste non sia stato discusso in televisione.

Nello specifico, mi riferisco ad un commento al nuovo Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne in cui viene riportato che il Governo prende atto dell’irreversibilità del processo di spopolamento delle aree interne e che, quindi, vanno accompagnate verso il loro lento declino.

Per quanto strano, l’Esecutivo sembra in effetti aver “gettato la spugna” (un’altra volta) ed essersi confermato incapace di affrontare problemi ben più seri di quelli che ritiene di aver affrontato.

A pagina 45 del documento poc’anzi citato, si può appunto leggere un obiettivo, (l’obiettivo 4), secondo cui “Un numero non trascurabile di Aree interne si trova già con una struttura demografica compromessa (popolazione di piccole dimensioni, in forte declino, con accentuato squilibrio nel rapporto tra vecchie e nuove generazioni) oltre che con basse prospettive di sviluppo economico e deboli condizioni di attrattività. Queste Aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a sé stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita.”.

È certamente vero che affrontare il problema in esame sia dispendioso e complicato ma in un tempo nel quale si discute troppo e a sproposito di cambiamento climatico, problemi alimentari, siccità e disoccupazione perché un governo che si definisce vicino agli interessi della propria nazione sceglie di non impegnarsi per affrontare i problemi appena citati proprio investendo in quelle aree rurali che sono al contrario un patrimonio dimenticato? Un patrimonio che, se adeguatamente gestito, potrebbe rivelarsi essere una felice eredità per l’Italia del domani?

Le aree che si pretende di abbandonare definitivamente, oltre a essere ricche di storia e cultura sono infatti aree agricole nelle quale è possibile investire nella biodiversità e in produzioni autoctone di qualità, di conseguenza, se consideriamo la necessità di formulare delle ipotesi convincenti e ragionevoli per spiegare quello che si è preferito incoraggiare credo sia pacifico accettare una volta per tutte che un governo (ribadisco) dichiaratamente patriottico non possa scegliere di non impegnarsi in una sfida così complessa perché è tutto tranne che un governo diverso da quelli che lo hanno preceduto.

In altre parole, rebus sic stantibus, risulta evidente non solo che questo Piano Strategico (?) tolga senza mezzi termini ogni possibilità di ripristinare attività silvo-pastorali in quelle aree interne che rappresentano la maggioranza del territorio nazionale e molte delle quali avrebbero straordinarie potenzialità per uno sviluppo sostenibile ma che il Governo italiano non è un governo dei cittadini.

Ma è davvero così difficile per la politica, oggi, impegnarsi in attività concrete che prescindano da slogan utili solo ad essere spesi sui social?

Nei fatti, la scelta del Governo si conferma essere in linea con un’evidente piano al quale la stessa sinistra non potrebbe non rispettare: un piano che non tiene evidentemente conto della volontà popolare ma che si limita ad osservare una progettualità decisa altrove proprio da chi, al contrario, con la sua ottusità e la sua venalità ha svuotato di significato il valore dell’azione democratica di partiti sempre meno rappresentativi.

Il fragore che viene sovente incoraggiato quando si discute di casi di cronaca o di sport a cosa serve, perciò, se non a confondere l’elettore?

E come può funzionare un piano mirato che possa assistere un percorso di declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora abita in vaste aree dove già adesso mancano servizi essenziali come presidi sanitari, scuole, servizi pubblici e viabilità?

Così facendo, in conclusione, non solo si preclude il ritorno a prescindere a forme di agricoltura ben definite ma si ostacola anche lo sviluppo di un turismo lento di cui (come al solito) si parla troppo e a sproposito ma non solo: la scelta politica qui denunciata è una scelta che, per quanto triste sia da ammettere, condannerà a fare i conti con eventi catastrofici sempre più frequenti, a preferire le scuse, a cantare “Romagna mia” ad ogni alluvione come quei mariti che vengono traditi ma rimangono con piacere perché soffrono evidentemente di qualche perversione, ad incoraggiare lo spopolamento delle aree interne, a concentrare la popolazione in centri sempre più caotici, invivibili e con ampie superfici di cemento e asfalto le quali, oltre alle alluvioni, favoriscono anche crescenti ondate di calore.

Torneremo allora a “rivedere le stelle” prima o poi? Se continueremo a votare chi non sarebbe nemmeno in grado di amministrare un gruppo Whatsapp no di certo…