La teoria del caos, a metà strada tra il presente, il Jurassic Park e la letteratura
Tutti hanno visto “Jurassic Park”, il film di Steven Spielberg, pochi hanno letto il romanzo di Michael Crichton al quale è ispirato e quasi nessuno, soprattutto nel mondo della ricerca, ricorda di ricordare che né il film né tantomeno il romanzo sono qualcosa di più di un film e di un romanzo “a proposito di dinosauri”.
La storia, più o meno nota a tutti, è la storia del viaggio di alcuni professionisti a Isla Nublar, in Costa Rica, dove John Ammond, un intraprendete imprenditore, ha creato un parco a tema unico al mondo, un parco nel quale grazie ai prodigi dell’ingegneria genetica è stato possibile recuperare, riprodurre e quindi clonare il DNA dei dinosauri.
Tutti sono convinti che il Jurassic Park sarà un trionfo, un’enorme fabbrica di soldi ma qualcuno tra i professionisti invitati smorza ben presto le sicurezze di Ammond e della sua squadra: costui è il dottor Malcolm, un brillante matematico che appena raggiunge Isla Nublar conferma le preoccupazioni che già aveva avuto modo di esternare in precedenza prima dell’inizio dei lavori.
Nello specifico, il dottor Malcom (che tutti ricordano essere stato interpretato nel film da Jeff Goldblum) ritiene che il parco sia un azzardo destinato a fallire in virtù del fatto che esso è un sistema semplice destinato a rivelare irregolarità imprevedibili.
In altre parole, il tentativo dei ricercatori del parco “resuscitare” animali estinti e costringerli di conseguenza a vivere in un contesto diverso da quello nel quale sono vissuti milioni di anni prima è giudicato un tentativo capace di contraddire i più evidenti princìpi della natura e, quindi, una sfida pretenziosa a una realtà che non si può né prevedere né tantomeno controllare.
Essendo però un matematico, il dottor Malcolm giustifica le proprie convinzioni sulla base non già di un’osservazione biologica (che trova però conferma nei suoi studi) ma sulla base di una teoria matematica: la teoria del caos.
Sull’aereo che porta lui e altri colleghi a Isla Nublar, Malcom spiega infatti che il progetto di Hammond è un progetto destinato a fallire perché “è uno di quei sistemi semplici -animali nell’ambiente di uno zoo- che prima o poi finirà con l’esibire un comportamento imprevedibile”.
Ma cosa sostiene, esattamente, la teoria del caos e perché è così importante non solo per capire “Jurassic Park” ma anche il nostro rapporto con la scienza, nel 2025 ormai?
In poche parole, la teoria del caos afferma che il risultato di un evento dipende da diverse variabili: quelle, cioè, il cui comportamento non è sempre prevedibile con totale esattezza.
In buona sostanza, la teoria del caos non solo afferma che vi è sempre un margine di errore, uno spazio per quello che dal nostro punto di vista è appunto caos (giacché, a volte, anche una piccola differenza genera un effetto dalle grandi proporzioni) ma contraddice altresì una visione cartesiana della realtà.
Malgrado però si tenti di confutare una visione cartesiana della realtà che pretende di fatto di ridurre tutto a una logica meccanicistica, prevedibile e dunque confortante già dagli anni ’80 (il romanzo “Jurassic Park” non in effetti molto lontano per questi aspetti dal brillante saggio di Fritjof Capra “Il punto di svolta”) la quotidianità che siamo stati costretti a vivere negli ultimi anni è una quotidianità ancora troppo dipendente dal determinismo e, purtroppo, da un certo scientismo.
Non diversamente dal dottor Wu che, quando scopre che i dinosauri possono riprodursi nel parco perché la sua convinzione che usare il DNA di un anfibio per clonare un dinosauro non fosse pericoloso non riesce ad accettare di aver sbagliato, anche noi, nel 2025, piuttosto che riconoscere che la scienza può sbagliare continuiamo a ritenere che essa sia la risposta a tutti i nostri problemi, a prescindere.
Con ostinazione, infatti ed evidente pressapochismo, ripetiamo ancora slogan privi di senso e ancora non riusciamo ad accettare che uno scienziato serio non cerca la visibilità grazie a delle dichiarazioni di cui non è convinto ma sa incoraggiare il dubbio e di conseguenza il senso della sua ricerca.
Se, ad esempio, negli ultimi anni non ci fossero stati i virologi da salotto che hanno scelto di comportarsi come il dottor Wu ma al loro posto ci fossero stati professionisti capaci di esprimere dubbi con toni ben più concilianti e appunto meno propagandistici probabilmente la scienza avrebbe difeso una credibilità che non può pretendere di meritare a prescindere.
Sebbene in conclusione dovrebbe quindi essere evidente il fatto che non è la tecnica in quanto tale a risolvere un problema ma come essa viene usata con coscienza e consapevolezza dall’uomo, molto deve ancora essere affrontato per migliorare il nostro rapporto con le evidenze o quelle che riteniamo essere tali.
Allo stesso modo, se in effetti la teoria del caos può contribuire in maniera significativa allo sviluppo di un approccio flessibile, olistico e meno dottrinale nei confronti della scienza, essa può altresì condizionare il nostro rapporto con le opere di fantasia e permetterci finalmente di fare a meno di tutte quelle considerazioni ovvie che rischiano di trasformare spesso e volentieri una storia interessante in una storia prevedibile.
In concreto, pur riconoscendo anche qui la necessità di non poter fare a meno di quelle caratteristiche che definiscono, ad esempio, un particolare racconto, credo sia tuttavia possibile rinunciare a quelle pretese che talvolta condizionano una storia al punto da trasformarla in una storia già letta.
Il vero problema, in conclusione, non è tanto non poter prevedere con esattezza che cosa accadrà domani ma la pochezza di linguaggio e questo fatto si combatte non con il fondamentalismo scientifico né, per l’appunto, con un manuale pronto all’uso di frasi fatte e concetti che di fatto pretendono di piegare la creatività ma con il coraggio di creare cose nuove e con l’accettazione che non tutto può rispondere alle convenzioni apprese a scuole.
Se, ad esempio, il personaggio di un romanzo ben scritto non approda a nessun risultato dopo tante pagine o non viene sviluppato come un lettore si aspetta questo può anche essere considerato un errore da correggere? Io, alla luce del fatto che buona parte di ciò che viviamo non risponde spesso a regole precise o prevedibili, comincio a credere no.
Certo, accettare la complessità dei fatti non equivale a scegliere di non approfondirli, al contrario! Giacché, in conclusione, accettare la complessità dei fatti può significare rendersi finalmente conto del fatto che quelle che noi chiamiamo “regole” non necessariamente rispondono agli stessi presupposti pacifici con i quali noi tentiamo di capire senza troppi sforzi, tra uno spazio pubblicitario e un altro e che probabilmente, come accadde per chi approcciò per primo la meccanica quantistica, il processo di studio è un processo che deve fare a meno talvolta dei rigori già in essere…