A proposito di inclusività…
Come ogni anno, dopo esserci affannati con disperazione per provare a organizzare nel migliore dei modi il Natale si raggiunge Santo Stefano “rotolando” e cercando di evitare la risposta alla domanda più terribile che si potrebbe mai scartare sotto l’albero: perché?
Da quando i social network hanno cominciato a condizionare le nostre vite, quelle ricorrenze che ci costringiamo a vivere a Natale senza motivo sono diventate in effetti ovvie e di conseguenza sorridere delle abbuffate e delle domande indiscrete dei parenti al cenone sono diventate attività degne di essere vissute non diversamente dalla realizzazione dell’albero o, appunto, dall’attesa di Babbo Natale.
In altre parole, dal momento che da tempo abbiamo cominciato ad abituarci con passività a ciò che accade perché già a scuola qualcuno ci ha convinti del fatto che lavorare sulle nostre opinioni non interessi a nessuno ci siamo ridotti a credere che Natale sia una formalità da sopportare con il sorriso sulla faccia perché “bisogna essere tutti più buoni”.
Certo, non possiamo pretendere che il Natale sia festeggiato solo da chi crede (sarebbe difficile, in termini pratici) ma ciononostante possiamo senza dubbio domandarci se una volta dimenticato l’affanno che pregiudica la genuinità dei nostri momenti quotidiani (non solo a dicembre) rimanga qualcosa da imparare.
Dal canto mio, nei giorni che precedono Capodanno mi sorprendo di scoprire quanto sia invadente la più diffusa pseudo verità del nostro tempo: la società contemporanea è una società inclusiva.
A prescindere dal Natale, infatti, già in altre occasioni ho criticato con cognizione di causa l’uso di una terminologia ricorrente da parte della politica e dei mezzi di informazione come se non fosse possibile fare a meno dalle veline scritte da altri quando si comunica e riscoprire quindi nel giorno di Santo Stefano quanto sciocco sia pensare che il termine “inclusivo” possa avere un contenuto al giorno d’oggi è purtroppo inevitabile.
Come si può, dopotutto, pretendere di raccontare il presente grazie al termine “inclusivo” se ogni espressione di apparente dissenso rispetto a un tema viene costantemente derisa grazie a una fallacia cognitiva? E come si può pretendere di raccontare il presente grazie al termine “inclusivo” se tutto deve essere spiegato alla luce di schemi già stabiliti da terzi?
E come si può, mi di domando infine, pretendere di raccontare il presente grazie al termine “inclusivo” se abbiamo ormai accettato con rassegnazione il fatto che non possa essere possibile raggiungere risultati accettabili in settori notoriamente condizionati da quelle che sono state già definite “caste”?
In termini più chiari ma non per questo meno efficaci, a Natale sarebbe interessante affrontare finalmente il fatto che oramai ci siamo tranquillamente abituati a tutto e sarebbe altresì interessante rompere lo schema e affrontare con coraggio la ridefinizione del termine “inclusivo” alla luce di una possibilità più ampia: una possibilità magari liberale e che consenta anche a chi non ha “santi in Paradiso” di poter fare.
La crescente rigidità della società che torneremo a vivere in silenzio dopo aver mandato giù il boccone più amaro il 31 dicembre è una rigidità destinata senz’altro a condannarci e che non da ultimo, in realtà, credo ancora una volta possa non essere vinta da chi vorrebbe fare a meno delle materie umanistiche.
Non a caso, è in conclusione con convinzione che ripeto che il mondo possa essere senz’altro più inclusivo non sminuendo la riflessione e lo studio delle materie umanistiche ma valorizzandole poiché se è vero che un individuo non è solo un mezzo, non possiamo pretendere di definirlo solo in virtù di ciò che si pretende sappia fare oggi ma in relazione anche alla sua capacità di valorizzarsi con la cultura.
Chi in queste ore si diverte perciò a ripetere che un buon cittadino è semplicemente un soggetto le cui competenze sono spendibili sul mercato non solo dimentica che un buon cittadino è un essere umano che ha imparato ad ascoltare sé stesso in un contesto chiassoso ma anche quanto sia triste non provare a immaginare qualcosa di diverso da ciò che semplicemente oggi è, (dal momento che tra le altre cose che si dimenticano spesso vi è il fatto che un utilizzo attento della tecnologia dipende anche da un utilizzo attento delle nostre capacità di analisi).