5#(De)Vita&Destino: “Roma e i suoi re: una storia che (non) conosciamo)” – (Testo)
In questa puntata parleremo della fondazione di Roma, di Romolo, il leggendario primo re della Città eterna e quindi delle motivazioni che mi hanno ispirato a scrivere il mio ultimo libro, “Roma e i suoi re: una storia che (non) conosciamo”.
Ma prima di cominciare un’avventura che probabilmente farà venire mal di testa a qualcuno, è opportuno che io mi scusi per non aver più scritto una puntata per questo podcast durante l’estate.
In effetti, come è noto, mi sono goduto il sole di Napoli, Partenope e la compagnia di quella nuova aristocrazia universitaria che presto o tardi scomparirà e di conseguenza “(De) Vita & Destino” ha dovuto aspettare.
Non senza rimpianto rifletto quindi con amarezza a proposito di ciò che non è stato fatto e badate bene, rifletto a proposito delle occasioni perdute non già perché mi siate mancati ma perché il gatto che ha prestato l’immagine per la copertina di questo podcast si aspetta ancora dei risultati!
Bando dunque alle ciance, care amiche e cari amici e (ri)cominciamo questa avventura grazie alle tematiche affrontate e precisate nel già citato testo “Roma e i suoi re: una storia che (non) conosciamo”.
Come già probabilmente accennato in altre sedi, scrivere un saggio che potesse essere altresì una guida per meglio comprendere dei (quasi) romanzi storici è stato per me importante.
Mi riferisco ai romanzi “L’alba di sangue” e “Il regno di Romolo” come a dei “quasi” romanzi storici non a caso perché come spiegato in altre sedi, il racconto affrontato nei testi appena citati è un racconto probabilmente di fantasia.
In altre parole, a prescindere dalla mia fantasia, ossia da un’arma a doppio taglio che ha proposto anche personaggi che a breve spiegherò, il racconto che tutti conosciamo della fondazione di Roma è un racconto probabilmente privo di fondamento storico, (non a caso si parla infatti della storia di Romolo e Remo quasi sempre come della leggenda di Romolo e Remo).
Dove comincia perciò, per l’esattezza, la storia della Città eterna? E dove finisce il racconto a momenti mitico? Malgrado sia tutt’ora difficile distinguere la fantasia dalla realtà, cercare di scernere la componente semi-mitica dalla presunta realtà storica quando si discute dei primi secoli di Roma si rivela essere sempre più importante.
Nel breve saggio che vi presento, ciò che ho quindi tentato di fare è stato provare a chiarire cosa ho inventato io per rispondere a precise esigenze letterarie e quali sono le, appunto, principali differenze tra fantasia e ipotetica realtà storica.
Come tutti, forse, ben sanno, Roma si ritiene sia stata fondata da Romolo nel 753 a.C. dopo aver ricevuto un’investitura regale dagli dèi e aver ucciso il fratello che aveva contestato la sua vittoria ma ciò che tutti, forse, ben sanno è qualcosa che non è mai avvenuto e, si badi bene, non tanto perché esiste una versione del racconto che contraddice il fratricidio ma perché il racconto appena riassunto è un racconto di fantasia che è stato raccontato da storici vissuti secoli dopo l’ottavo secolo avanti Cristo.
L’archeologia in parte ha confermato la possibilità che Roma sia stata fondata indicativamente intorno al 753 a.C. perché le prime opere difensive finora rinvenute sembrano risalire a quel periodo e confermare perciò il fatto che ad un certo punto una comunità si sia definita intorno a un capo.
Ma se quel capo appena ricordato sia stato o meno Romolo questo, per ora, non è possibile saperlo e nonostante l’archeologia abbia altresì confermato in effetti che era per ordine di un re che sono state emanate delle prime, rudimentali, leggi tra il sesto e il settimo secolo avanti Cristo non possiamo sapere con certezza chi sia appunto stato quel re.
Nel saggio, dunque, oltre a raccontare nel dettaglio le diverse versioni del mito che hanno contributo a costruire il racconto della fondazione si descrive perciò sia come il racconto in esame sia stato un utile strumento propagandistico ma anche come l’archeologia abbia in parte de-costruito i caratteri del mito.
È grazie, infatti, al misterioso cippo rinvenuto da Giacomo Boni all’inizio del Ventesimo secolo sotto una lastra di marmo nero situata presso il Foro, la cosiddetta “Pietra nera” che si è potuto tracciare un punto di incontro tra propaganda e storia perché è proprio grazie a questo misterioso reperto sulla cui superficie è incisa una disposizione normativa prevista da un re che è stato in conclusione possibile intuire che la Roma dei primi secoli fosse governata, non a caso, da un re.
Ora, se quel re fosse come abbiamo già spiegato Romolo non lo sappiamo e forse non lo sapremo mai; sappiamo però che probabilmente il “recei” descritto (sulla lapide la parola latina “rex” è declinata al dativo nella formula arcaica “recei” che indica un qualcosa, nel caso di specie una legge che proviene “dal re”) non era forse un re come lo immaginiamo noi oggi ma piuttosto un capo banda le cui leggi e conseguenti istituzioni non erano articolate come gli storici romani successivi hanno immaginato.
Ma, in conclusione, che tipo di saggio è quello proposto?
Credo che, “Roma e i suoi re: una storia che (non) conosciamo” sia il racconto di una storia che non sappiamo perché in parte perduta e ancora tutta da studiare; come anticipato in apertura, un’inevitabile precisazione dopo due romanzi i cui caratteri ancora devono essere completamente spiegati ma altresì il racconto di esperienze personali che hanno suscitato non poche riflessioni durante le relative presentazioni in giro per l’Italia.
Insomma, il saggio che ho malauguratamente deciso di scrivere è un saggio che ben risponde alle citazioni in esergo, quella di Joseph Conrad (“Si scrive soltanto una metà deli libro, dell’altra metà si deve occupare il lettore”) e quella di March Bloch che scrisse “L’ignoranza del passato non si limita a nuocere alla conoscenza del presente: compromette l’azione stessa del presente” ma anche alla volontà di trovare non solo un punto di incontro tra fantasia e archeologia, letteratura e storia ma anche studio teorico e applicazione concreta dello stesso nella vita di tutti i giorni.
Malgrado le mie buone intenzioni, infatti, il testo, (diviso in quattro ben distinti capitoli) è un testo articolato, pieno ma anche critico di chi, come spiegato nella relativa conclusione, dimentica o sminuisce il valore dello studio delle materie umanistiche.
Non è senza polemica che, forse, ho scritto a proposito del fatto che “La storia, in conclusione, così come la leggenda è tradizione nel senso più letterale del termine, talvolta esempio, senza ombra di dubbio oggetto di analisi e, in ultima istanza, definizione: a prescindere dal coraggio, non ricordare significa tutto sommato non essere, abbandonarsi ai movimenti di una corrente in piena tempesta e fidarsi di chiunque, anche e soprattutto di chi sa bene che il potere trova terreno fertile in quel terriccio che chiamano ignoranza.”
E non è senza polemica che adesso vi saluto ricordandovi che ciò che siamo è il risultato di ciò che siamo stati e che dimenticarlo, anche quando siamo al lavoro, ci costringerà sempre ad un’alternativa che non ci piace.
Nell’augurarmi, perciò, di “riavervi presto a bordo”, vi ricordo che “Roma e i suoi re: una storia che non conosciamo” è disponibile anche sul mio blog, “The Great Gig”.
“Macte animo”, allora e grazie per l’ascolto…Sigla!