Siamo (quasi) tutti Colin Powell

Colin Powell, un uomo che chi ha trent’anni come me ricorda bene, fu scelto per arringare il mondo dal palcoscenico del consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite perché fino ad allora era stato il più riluttante a trascinare l’America in un nuovo conflitto, il conflitto contro l’Iraq.

Ma Colin Powell non è stato solo l’uomo che agitò in maniera a dir poco teatrale una provetta davanti al consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sostenendo che fosse una prova delle armi di distruzioni di massa di Saddam Hussein ma un generale e un politico il cui impegno sarebbe un peccato trascurare.

Colin Powell era nato da genitori giamaicani nel 1937 e dopo aver atteso con profitto gli studi ebbe occasione molto presto di cominciare una carriera che tra le numerose attività lo vide coinvolto nella gestione di una commissione di inchiesta sul massacro di My Lai: un massacro perpetuato dai soldati americani ai danni di civili vietnamiti durante la guerra del Vietnam.

Nonostante tutto però, nonostante Colin Powell sia stato l’esempio di come un ragazzo di origini straniere abbia potuto attendere una carriera rispettabile e nonostante la Seconda guerra del Golfo meriti più di un approfondimento, egli è passato alla storia come il principale responsabile di un inganno: l’inganno della provetta, in effetti.

Ma perché? Come ha potuto un singolo episodio macchiare in maniera così indelebile una carriera come quella di un uomo che avrebbe potuto essere di esempio per molti stranieri di etnia afroamericana come Colin Powell?

A dispetto di quanto si possa credere, il caso di Colin Powell è un caso curioso e non già perché, in relazione al conflitto in Iraq aiuta a comprendere una volta ancora l’importanza di uno studio oggettivo e attento della storia ma anche perché il suo ruolo nei fatti che videro gli Stati Uniti d’America scegliere di invadere l’Iraq è un ruolo che ha ancora molto da insegnare a tutti.

Oggi, vent’anni circa dopo i fatti in Medioriente che interessano la nostra riflessione, la capitolazione del governo di Saddam Hussein è un fatto che ha tutt’ora delle conseguenze evidenti sul presente e quei fatti possono essere compresi solo grazie ad un approfondito esame dei fatti che a loro a volta li precedettero e ciò dimostra, prima di ogni cosa, che anche le piccole scelte che compiamo (o subiamo) quotidianamente sono scelte che dipendono da una storia non molto lontana da noi.

Ciononostante, nonostante però gli accadimenti geopolitici che hanno avuto luogo in Medioriente siano stati determinanti per definire il nostro presente lo stesso Colin Powell può, come anticipato, suggerirci una riflessione e non già perché fu protagonista e, sosterebbe qualcuno, (co)responsabile dell’invasione in Iraq ma perché mentendo sapendo di mentire, Colin Powell si è comportato come alcuni di noi quando mentiamo sapendo di mentire e accettiamo perciò che le cose non possano cambiare.

Forse, se Colin Powell avesse detto “no” a chi gli chiedeva di sostenere la causa statunitense alle Nazioni Unite qualcun altro avrebbe preso il suo posto, è vero, ma se Colin Powell avesse appunto detto “no” le bugie che assecondò avrebbero potuto essere smascherate per tempo?

Difficile a dirsi, ora, ma molto di Colin Powell e delle sue menzogne coscienti ci appartiene, tutto sommato, quando anche noi nel nostro piccolo mentiamo consapevolmente solo per timore ed evitiamo di denunciare qualcosa che non apprezziamo esclusivamente per preservare uno status quo che, tra l’altro, contraddiciamo.

Vero, difficile è paragonare un momento delicato come quello vissuto da come Colin Powell nel 2003 ad un momento qualunque, delle nostre vite ma sono o non sono anche i momenti qualunque a scrivere nel loro insieme la storia?

Sono infatti convinto che sì, molto di ciò che non ci convince possa essere affrontato non con il fatidico “senno di poi” ma con un superamento coraggioso delle convenzioni e delle apparenze che spesso si è dimenticato e che, non a caso è venuto meno proprio all’alba di un periodo storico complesso come il nostro il quale, tuttavia, può forse essere ancora diversamente condizionato…

Siamo dunque (quasi) tutti Colin Powell? Sì, siamo (quasi) tutti Colin Powell quando neghiamo il valore dei fatti pregressi, la loro complessità, la nostra dignità e la nostra storia ma soprattutto la verità e accettiamo infine di poter piegare la nostra attività quotidiana ad una scelta che sappiamo essere sbagliata ma che comunque assecondiamo.

In altre parole, pur ribadendo quanto diverso sia il contesto nel quale operava Colin Powell rispetto al contesto delle nostre vite è quantomeno interessante riflettere quanto poco utile ad un progresso costruttivo sia un’assertività che sfiora l’accettazione senza condizioni dei dettami di un potere che condiziona le nostre esistenze non solo in ambito politico ma, attenzione, anche economico e lavorativo.