“Città 30” e altro: perché la comprensione della “complessità” è una chimera di cui abbiamo sempre più bisogno

L’esperienza, ancora prima della formazione accademica di natura giuridica, mi ha insegnato che la realtà è complessa.

Le problematiche attuali e le conseguenti sfide che interessano il nostro oggi comportano in effetti analisi non scontate che tengano conto di numerosi fattori ma purtroppo, spesso, quanto appena osservato è ampiamente contraddetto.

Non sempre, ma quasi ogni volta che qualcuno tenta di analizzare un fatto sembra infatti osservare lo stesso non tenendo conto di tutti gli aspetti che lo interessano e vuoi per fanatismo, vuoi per interesse tutto si riduce costantemente ad una chiacchiera da bar.

A prescindere da tematiche ben più impegnative come quelle che hanno interessato la gestione della pandemia da Covid-19 o i conflitti in Ucraina e in Palestina, anche una questione meno impegnativa come il limite di non superare i 30 kilometri orari a Bologna è stata ampiamente strumentalizzata e affrontata in maniera del tutto ideologica.

Ma come mai? Perché una certa visione delle cose pretende di spiegare la realtà in una maniera e di contraddire una critica non già nel merito ma in modo squisitamente capzioso?

Nel caso in oggetto, mi ha appunto impressionato come si sia apertamente creata una divisione tra chi è favore e chi è contrario e abbia automaticamente definito da un lato e dall’altro soggetti che mi aspettavo si muovessero in tal senso.

In altre parole, ho notato come chi avesse accettato sempre e in maniera passiva determinate disposizioni senza obiettare e avesse quindi poi accettato anche spesso e volentieri regole del mercato del lavoro contradditorie abbia salutato la decisione del sindaco Matteo Lepore non solo con entusiasmo ma anche con un atteggiamento di alterigia nei confronti di chi è contrario.

Diversamente, chi ha negato la bontà del provvedimento del Comune di Bologna non mi è sembrato nuovo al dissenso e con le dovute eccezioni ciò mi ha costretto infine a domandarmi se un certo modo di continuare a dividere le aree proprie del dibattito non facesse il gioco di chi ha bisogno di dati per continuare a proporci costantemente cose.

Se è vero che i veri pericoli della democrazia dipendono da quello che è stato definito il “capitalismo della sorveglianza”, dunque tutto sarebbe perfettamente compatibile con una teoria che spiega quanto appena descritto ma nonostante i “se”, nonostante quindi il fatto che la scelta del limite di velocità a 30 kilometri orari possa essere sicuramente un incentivo a non usare l’automobile bisogna però chiedersi non poche cose.

Nello specifico: se non siamo semplicemente flussi di dati, quali alternative le Istituzioni sapranno proporre? Possiamo pensare che il limite in esame non sia piuttosto un nuovo “balzello” con cui ripianare i conti del Comune grazie alle contravvenzioni? Possiamo ritenere oggettivamente praticabili i controlli da parte delle Forze dell’ordine per garantire il rispetto del limite? Possiamo giungere a conclusioni affidabili sulla base di dati non ancora completi, oggi, dopo nemmeno sei mesi dall’introduzione della disposizione? E non da ultimo: possiamo chiederci se questo limite non sia un ulteriore passo verso un sempre più permeante controllo della vita dei cittadini da parte del potere?

Il Comune di Bologna non è nuovo a polemiche e dopo aver proposto quasi due anni fa di introdurre una patente a punti per i cittadini virtuosi tale da premiare i cittadini non a caso responsabili nell’esercizio di alcune condotte, si potrebbe ritenere necessario un ulteriore approfondimento che da (quasi) nessuna parte trova spazio: quale rapporto intendiamo definire nel futuro tra cittadini e Stato?

In linea di principio, una forma di “patente a punti” pensata per premiare i cittadini potrebbe davvero condizionare positivamente i comportamenti degli stessi ma a che prezzo? Il loro atteggiamento virtuoso sarebbe in tal senso condizionato e non ispirato dall’educazione a cui dovrebbe invece tendere una società liberale.

L’essenza più dinamica e profonda della democrazia, in conclusione, non è sita nella forma troppo spesso recentemente esaltata nelle piazze a sostegno di un paese, l’Ucraina, il cui governo ha messo fuori legge ben undici partiti ma nella scelta dell’educazione a scapito della coercizione e della scelta giusta a vantaggio della scelta facile; di conseguenza ribadisco che l’interpretazione di una realtà complessa comporta un tempo di riflessione che il presente contraddice ogni giorno, (anche e soprattutto, nei luoghi di lavoro).

Sebbene non sia scontato, prima di essere cittadino, l’individuo è, infatti, lavoratore e se le aziende, prima di tutto, non comprendono il senso profondo della necessità di non contraddirsi quando dichiarano che promuovono lo spirito critico ma poi lo bocciano potrebbero continuare a perdere non solo competitività ma anche attrattiva (con buona pace di una sempre più alta richiesta di investimenti e nuovi posti di lavoro).