Politica e Intelligenza Artificiale: contraddizioni ma soprattutto limiti di un discorso molto più serio di ogni ideologia
Grazie ad un repentino sviluppo dell’Intelligenza Artificiale nel corso del 2023, si è tornato a discutere negli ultimi giorni di un interessante confronto avvenuto nel 2017 a Davos, (in occasione del World Economic Forum), tra Klaus Schwab e Sergey Brin, a proposito appunto del ruolo predittivo dell’Intelligenza Artificiale nei processi di elezione.
Nel caso specifico, il fondatore del World Economic Forum osservò che un sostenuto processo di sviluppo dell’Intelligenza Artificiale potrebbe costringerci a domandarci quale potrebbe essere il senso delle elezioni se essa, nella sua già citata attività predittiva, già indica con certezza quale potrebbe essere l’esito della competizione politica.
Nonostante attualmente ancora non si discuta convintamente di sostituire determinati processi con l’Intelligenza Artificiale, la non del tutto convincente risposta del co-fondatore di Google e la poca trasparenza su alcuni processi di sviluppo della stessa hanno comunque contribuito non poco a suscitare perplessità a proposito delle osservazioni citate.
I dubbi a proposito di quale possa essere effettivamente l’impatto di una tecnologia come quella dell’Intelligenza Artificiale sono numerosi e, a prescindere da aspetti già ampiamente affrontati a proposito del suo impiego nel mondo del lavoro, vale la pena ricordare che qualunque discorso (anche e soprattutto in ambito pubblico) merita di essere affrontato nel modo più oggettivo possibile.
Un approccio sistematicamente ideologico, infatti, nei confronti dell’Intelligenza Artificiale non può che continuare a creare divisioni tribali lì dove non servono e ad allontanare lo studio da una presa di coscienza importante: ogni fenomeno storico è unico e l’Intelligenza Artificiale non è perciò paragonabile ai processi innovativi né della Prima rivoluzione industriale né tantomeno della Seconda o della Terza.
In buona sostanza, una comprensione (e sicuramente un uso) effettivamente intelligente dell’Intelligenza Artificiale prescinde da prese di posizione favolistiche o critiche, a priori, ma trova senso grazie ad una riflessione matura su ciò che siamo.
Indipendentemente dal ruolo che tecnologie come Chat GPT potrebbero avere nel mondo del lavoro, per rispondere in maniera convincente alla concreta possibilità che un domani si proponga di sostituire i meccanismi politici con un’Intelligenza Artificiale predittiva bisogna affrontare prima di tutto il ruolo che ha la politica nelle nostre società.
La pretesa, perciò, di essere “diversi” (se non addirittura migliori) da paesi che pretendiamo di osteggiare in virtù delle nostre democrazie non può, effettivamente, fondarsi sull’ideologia ma su una manifestazione concreta dei valori democratici che pretendiamo di osteggiare.
In altre parole, non possiamo definirci pienamente democratici se non capiamo perché la gente non ha più fiducia nella classe dirigente e non possiamo definirci pienamente democratici se permettiamo che si continui a banalizzare il dibattito pubblico e a pensare che la risposta a delle cattive abitudini sia la proibizione e non l’educazione.
C’è, in conclusione, qualcosa di strano in una società piatta e compiaciuta che, pur riconoscendo una problematica (o un rischio) accetta passivamente l’evento come è stato insegnato nelle scuole quando si diceva di non esprimere un’opinione personale.
Allo stesso modo, c’è qualcosa di stanco in una classe politica che ripete un copione scritto da altri e non ha contezza del fatto che la fiducia dei cittadini si ristabilisce anche in una presa di posizione che possa restituire alla politica un prestigio e un potere che spesso viene meno di fronte a poteri economici non eletti.
Una corretta comprensione di ciò che potrebbe significare rinunciare alla manifestazione elettorale non è dunque possibile esclusivamente grazie ad una più che ovvia accettazione del fatto che la politica cambia perché molto di ciò che è cambiamento dipende da noi stessi e da ciò che appunto pretendiamo di tutelare quando discutiamo di valori democratici.
“Mutatis mutandis” una riflessione a proposito del fatto che non esistono i “buoni” contro i “cattivi” ma interessi definiti o definibili così come valori sempre più fiacchi non solo potrebbe contribuire ad una riscoperta (in prospettiva) della nostra posizione ma anche del nostro ruolo nei confronti di quelle novità che crediamo di poter semplicemente subire, (soprattutto perché pensare di poter affidare ad un’Intelligenza Artificiale il compito di stabilire chi debba guidare un paese comporta altresì l’onere di stabilire metri di valutazione indipendenti e assolutamente imparziali che forse, per fortuna, non saremo mai capaci di stabilire).
Fuor di retorica ma soprattutto di contraddizioni, il progresso non può trovare soluzione solo nel pensare che esso si possa esprimere nel limitare le nostre attività e i nostri pensieri grazie alla tecnologia ma anche nel capire come migliorare il nostro approccio all’esistenza come esseri umani evoluti soprattutto nell’animo.
Se di fronte a problematiche complesse come guerre, catastrofi ambientali o epidemie rispondiamo ad esempio come un essere umano di un’epoca che pensiamo ormai distante a cosa può servirci lo sviluppo tecnologico? Certo, lo sviluppo tecnologico può essere una risposta pratica ad un problema ma cosa resta invece dello sviluppo culturale se l’essere umano prima di tutto risponde in modo inappropriato e dimentica valori come uguaglianza e solidarietà a beneficio di non ben precisate misure di sicurezza?
Insomma: a cosa serve la tecnologia se poi l’essere umano ancora non sa come non rispondere in modo irrazionale di fronte alla necessita di individuare un capro espiatorio? E a cosa serve la tecnologia se poi l’essere umano comunque vede contrarsi (se non addirittura scomparire) le proprie capacità di adattamento in situazioni difficili?