“Napoleon” fu vera gloria?

“La realtà è scadente”, ogni giorno di più e per una persona attenta come me, trovare conforto (o ispirazione) nel cinema (e al cinema) è inevitabile.

Ho atteso quindi “Napoleon” non poco e con non poco entusiasmo e adesso che finalmente ho potuto vedere l’ultimo film di Ridley Scott sono felice di aver smorzato al momento giusto la mia impazienza.

Nei confronti di Napoleone Bonaparte, un personaggio straordinario, complesso, ingombrante e fondamentale per la storia contemporanea, ho sempre provato un interesse più che giustificato ed è perciò normale, credo, aver notato per tempo più di un’inesattezza storica nel corso della proiezione del film.

Certo, non è facile raccontare appunto con un film l’epopea storica di un uomo difficile ma un film è un film, non una serie tv né tantomeno un documentario per cui credo che prima di provare a capire che cosa sia “Napoleon” credo sia importante capire che cos’è un film.

Se un film è qualcosa di più di un’opera d’arte visiva che simula esperienze e comunica idee, storie, percezioni, sentimenti, bellezza e atmosfera attraverso l’uso di immagini in movimento, allora “Napoleon” è un’opera d’arte visiva che racconta prima di tutto un uomo all’interno di un percorso, un percorso difficile, ricco e, purtroppo, non ben approfondito (o strutturato).

Prodotto da Apple e diretto, come già ripetuto, da Ridley Scott, la pellicola mette al centro una figura carismatica e al tempo stesso ambigua perché Napoleone è senza dubbio perfetto per un regista che già in passato aveva dimostrato interesse per il significato del ruolo “essere umano” al centro di un turbolento movimento storico.

Senza dubbio, Joaquin Phoenix ha contribuito a costruire un personaggio che dà senso (e struttura) ad un progetto che si prefigge di raccontare l’ascesa e la caduta “del piccolo caporale” ma né la bravura dell’attore che fu Commodo né la volontà del regista raccontano il mito o la leggenda perché per un motivo che sarà senza dubbio interessante approfondire, il regista de “Il gladiatore” costringe il “suo” protagonista a restare nella sua dimensione umana, materiale e quasi sporca

In altre parole, il Napoleone di Ridley Scott è scaltro, sì, ma è instabile e non viene rappresentato come un eroe perché è freddo, fermo, umano per l’appunto, probabilmente “troppo umano”.

Lo stato d’animo di Napoleone si rispecchia in qualche maniera nella pellicola e sebbene la proposta di un nuovo punto di vista su Napoleone Bonaparte possa essere quantomeno interessante, il film è a tratti sospeso, come se ci fosse sempre qualcos’altro da dire o da mostrare.

È senza dubbio difficile, forse impossibile, raccontare tutto ciò che è stato (o non è stato) Napoleone Bonaparte e conoscere nel dettaglio la sua epopea comporta uno studio non indifferente per cui sebbene gli errori storici presenti nel corso dell’opera siano numerosi, essi possono essere compresi alla luce del fatto che un film solo non è sufficiente per comunicarci chi era l’uomo al centro delle vicende politiche europee tra diciottesimo e diciannovesimo secolo.

“Napoleon” si potrebbe di conseguenza guardare come un mero esercizio di stile ben svolto ma che manca di anima e partecipazione assoluta, un prodotto spettacolare, volutamente epico che, pur essendo per sua natura incompleto racconta la guerra per ciò che è: una realtà brutale.

Delle battaglie di Napoleone Bonaparte, spesso si ha in effetti un’idea alquanto distaccata, quasi romantica, se vogliamo, ma Ridley Scott, al netto di imprecisioni storiche come il bombardamento delle piramidi, le cariche a cavallo dello stesso imperatore rappresenta comunque lo scontro non come una partita a scacchi tra gentiluomini né come un esercizio di abilità cavalleresche ma come qualcosa di brutale, quasi disturbante a momenti.

“Napoleon” si deve insomma guardare ben sapendo che è un film di Ridley Scott, non un film storico come già precisato ma un film che si serve della storia per raccontare qualcosa, probabilmente un difetto o un dramma umano (come fu nel caso di Commodo, infatti, ne “Il gladiatore”).

L’interesse di Ridley Scott per l’umano e per la costruzione scenica riempita da attori come Joaquin Phoenix e Vanessa Kirby nel ruolo dell’imperatrice Giuseppina sono “pennellate” da apprezzare a mio avviso, “pennellate” che non di meno, insieme alla fotografia e ai costumi propongono suggestioni non indifferenti.

Credo che, non pochi appassionati di storia, abbiano sperato di non vedere Napoleone Bonaparte combattere in prima linea nei momenti finali della battaglia di Waterloo ma tant’è, il film è il film e se c’è qualcosa che di questi tempi “Napoleon” può suggerirci è quello di non guardare alla guerra come ad un fatto distante o un semplice incontro di strategie, (a prescindere dalle già approfondite irregolarità storiche e dal mancato approfondimento delle riforme promosse da Napoleone come imperatore).

In conclusione, “Napoleon” è un Bonaparte un po’ come noi, un Bonaparte sporco che soffre, si dispera, si preoccupa e fa l’amore in modo rozzo; “Napoleon” è altresì tanti errori non sempre sopportabili,  un’anima incompleta che non può essere raccontata in quasi tre ore, un film, ribadisco, da rivedere con piacere, tutto sommato, un film che mi costringe a chiedermi se “fu vera gloria” e che mi suggerisce di rispondere “ai posteri, l’ardua sentenza” …

P.S. Se “Napoleon” descrive relativamente poco gli uomini che hanno permesso al “piccolo caporale” di diventare l’imperatore Napoleone I Bonaparte, sicuramente descrive molto, tanto, Giuseppina Bonaparte, Joséphine de Beauharnais.

In modo particolare, il rapporto descritto nella pellicola tra Giuseppina e suo marito è un rapporto strano, complicato, autentico e sebbene sia a tratti esagerato o quantomeno fuori dalla storia, nel complesso si può in qualche misura definire teatrale.

Non escludo la possibilità che lo schiaffo di Joaquin Phoenix nei confronti di Vanessa Kirby offrirà ai più motivo per discutere (e non già perché Napoleone pare non abbia mai alzato un dito nei confronti della moglie ma per ragioni puramente educative) ma ciononostante, credo (dopo non poche riflessioni) che la stessa scena poc’anzi ricordata potrebbe comunque suggerirci di affrontare il film per ciò che è, ossia una prova stilistica: non a caso, lo schiaffo di Joaquin Phoenix a Vanessa Kirby è uno schiaffo improvviso, frutto di una collaborazione tra i due che ha messo al centro anche e soprattutto l’emozione più cruda e, naturalmente, l’improvvisazione, (proprio come in effetti sul palcoscenico).