Al di là dell'(eco)ansia e dei suoi nemici
Se la superficialità potesse specchiarsi citerebbe senza ombra di dubbio, temo, la Bhagavad Gita: “Sono diventato la morte. Il distruttore di mondi.” Anzi: “Sono diventata la morte. La distruttrice di mondi”.
Non senza preoccupazione, infatti, ascolto distrattamente il brusio confuso che trova giovamento in luoghi insalubri come i salotti televisivi e mi domando: potrò mai conoscere un’epoca effettivamente ragionevole?
In altre parole: da quando ho cominciato ad accogliere nel mio cuore la consapevolezza che non sarà un cambiamento climatico a condannare l’umanità ho capito che sarà essa stessa ad impiccarsi (non a caso) all’albero della superficialità.
Come già osservato altrove, i prodigi dell’era contemporanea non hanno ancora permesso di sconfiggere i princìpi fondamentali del tribalismo e, di conseguenza, non avendo potuto (o voluto) risolvere le fondamentali motivazioni che dividono gli esseri umani innanzi alla difficoltà, il potere ha continuato ad approfittarne ogni volta in cui si è reso appunto necessario affrontare un problema.
Se quindi pochi anni fa, i media hanno goduto nel creare un’illogica divisione tra “responsabili” e “complottisti” (come se tutti i responsabili fossero brillanti ricercatori plurilaureati), oggi, si torna a seminare panico e zizzania, si ricomincia a creare fazioni e, dulcis in fundo, si propone il reato di negazionismo ambientale (con buona pace dei princìpi fondamentali della Costituzione che limitano fortemente i reati di opinione).
Per quanto sia difficile da accettare, esiste però un’alternativa coerente alle posizioni già menzionate e si chiama razionalità. In un contesto dove essere “razionali” è degno di un comportamento “noioso” e in contraddizione con una ben più assertiva visione fondata sullo gym yoga, è naturale non riuscire a costruire una “terza via”, (anzi, una “quarta dimensione”) ma la ragione (o la ragionevolezza in questo caso) è, adesso, libertà, anarchia e sopravvivenza.
La verità è che, se da un lato la storia ci insegna che la Terra è viva e che i cambiamenti climatici sono sempre esistiti, dall’altro non è possibile non tenere conto di quale sia il reale impatto dell’attività umana sull’ecosistema.
I libri che ci consentono di comprendere il senso delle parole qui sopra presentate sono numerosi ma è grazie ad un libro in particolare, “Storia del mare” di Alessandro Vanoli che si può capire con facilità come l’essere umano sia stato costretto a confrontarsi con il clima che cambia fin da quando ha cominciato ad esplorare il mare.
Il 15 gennaio del 1362, ad esempio, una tempesta atlantica spazzò via la città di Rungholt, in Danimarca, la quale dopo una sola notte si inabissò e tra il Quattrocento e il Cinquecento (cioè tra il quindicesimo e il sedicesimo secolo), l’umanità dovette invece confrontarsi con quella che gli storici hanno definito a posteriori “Una piccola era glaciale”, cioè una fase climatica insolita la quale provocò inverni glaciali, estati piovose e primavere all’insegna delle frequenti grandinate.
Com’è ovvio che sia, accettare a questo punto il fatto che il clima cambi non è dunque una novità e la storia lo dimostra; tuttavia, una volta superata l’ideologia e brandita in maniera corretta la tecnica, si rende evidente riconoscere il fatto che lo stesso essere umano non possa consumare e basta.
In poche parole, per tentare di comprendere la forma che ha il tempo nel quale viviamo, bisognerebbe pensare in maniera diversa da chi ritiene che sia tutta colpa del capitalismo ma poi non solo dimentica il ruolo dell’industria in quella che fu l’Unione Sovietica ma continua a a contribuire alla prosecuzione di uno stile di vita molto poco “eco-friendly” ma indubbiamente molto “cool”.
Inoltre, come se non bastasse, per capire ciò che siamo bisognerebbe impegnarsi in due ulteriori imprese: ignorare chi non ha idea di quale sia il senso del Terrore e di come lo stesso sia armato dal potere per asservire le masse ad una precisa serie di costrizioni e non pensare come chi ha trovato posto sui fronti delle barricate appena descritte e inventarsi perciò un ruolo che si trovi, come al solito, al di là.
In conclusione è solo strappando alle apparenze il senso del vero che si individua, per fortuna, il vero responsabile del caos mediatico che cita la Bhagavad Gita come in apertura: un sistema di potere perverso, onnipresente, invasivo e contradditorio il quale dimentica cosa significa distruggere la biodiversità e inquinare i suoli ma poi pretende di tutelare le minoranze e costringe le stesse a pagare il prezzo di una transizione ecologica che solo chi ha determinati interessi economici sembra di fatto apprezzare (e difendere, dal momento che, come analizzato, pare che l’essere umano abbia perso le facoltà razionali per affrontare le normali difficoltà che essa, giustamente, comporta).