Perché la Corte costituzionale ha sbagliato
La Corte costituzionale, giovedì 1° dicembre, ha “salvato” lo status quo e il tribalismo che ha visto contrapporsi i vaccinati ai non vaccinati.
“La Corte – si legge nel comunicato diramato – ha ritenuto inammissibile, per ragioni processuali, la questione relativa alla impossibilità, per gli esercenti le professioni sanitarie che non abbiano adempiuto all’obbligo vaccinale, di svolgere l’attività lavorativa, quando non implichi contatti interpersonali”. Per la Consulta sono state inoltre “non irragionevoli, né sproporzionate, le scelte del legislatore adottate in periodo pandemico sull’obbligo vaccinale del personale sanitario”. Allo stesso modo “non fondate sono state ritenute le questioni proposte con riferimento alla previsione che esclude, in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale e per il tempo della sospensione, la corresponsione di un assegno a carico del datore di lavoro per chi sia stato sospeso; e ciò, sia per il personale sanitario, sia per il personale scolastico”.
Naturalmente, non sono state ancora depositate le motivazioni della sentenza, per cui occorrerà attendere i dettagli ma l’indirizzo della Corte è chiaro: l’obbligo vaccinale era legittimo e costituzionale.
Per quanto sia difficile da comprendere, è tuttavia necessario, a mio modesto parere, un esame dettagliato e scevro da ogni forma di faziosità del “perché” la pronuncia della Consulta non solo possa presentarsi come una pronuncia contraddittoria ma, addirittura, pericolosa.
La pronuncia della Corte costituzionale giunge, infatti, dopo numerose sentenze contrarie all’obbligo vaccinale e, non da ultimo, la pronuncia dell’Alta corte greca che ha contestato l’estensione del mandato sui vaccini da parte del governo greco.
Certo, non si può negare il ruolo di indirizzo della Corte costituzionale (ruolo non proprio dei tribunali di primo grado e dei tribunali amministrativi) e allo stesso modo non si può rivendicare un vincolo giuridico tra la Consulta e l’Alta corte greca; ciononostante, i fatti (sebbene ribadisco essi non abbiano ancora valore giuridico) dimostrano un’evidente dissonanza tra l’opinione di un organo, la Corte costituzionale, appunto, e l’evidenza.
Non sorprende che negli ultimi dieci mesi, circa, le sentenze contrarie all’obbligo vaccinale per il personale sanitario non abbiano fatto notizia ma nonostante, in effetti, in pochi abbiano avuto l’ardire di commentarle, esse non sono state poche.
Ricordare tutte le sentenze contrarie all’obbligo vaccinale per il personale sanitario in questa sede sarebbe inopportuno e, paradossalmente, controproducente; affinché siano tuttavia evidenti le contraddizioni della Corte costituzionale, si ripropongono qui di seguito due sentenze a dir poco interessanti.
La prima sentenza che si intende presentare è una sentenza datata giovedì 28 aprile 2022 ed è stata adottata dal tribunale di Padova in seguito al ricorso di un’operatrice sanitaria dell’azienda Ulss n.6 Euganea, sospesa per non essersi sottoposta alla vaccinazione contro Sars Cov-19.
Nello specifico, si legge che “l’obbligo vaccinale imposto ai lavoratori in questione non appare idoneo a raggiungere lo scopo che si prefigge, quello di preservare la salute degli ospiti: e qui risiede l’irragionevolezza della norma ai sensi dell’art. 3 Cost. Può infatti considerarsi notorio il fatto che la persona che si è sottoposta al ciclo vaccinale, può comunque contrarre il virus e può quindi contagiare gli altri. Può dunque notoriamente accadere, ed effettivamente accade, come conferma l’esperienza quotidiana, che una persona vaccinata contragga il virus e contagi le altre persone (vaccinate o meno che siano). Come emerge dai dati forniti dal Ministero della Salute nonostante l’avvio della campagna vaccinale, il numero di contagi più elevato in assoluto dall’inizio della pandemia, pari a + 220.532, è stato registrato l’11.01.2022”
La sentenza aggiunge inoltre che “la persona vaccinata, che non si sia sottoposta al tampone, può essere ugualmente infetta e può quindi ugualmente infettare gli altri: la garanzia che la persona vaccinata non sia infetta è pari a zero. Invece la persona che, pur non vaccinata, si sia sottoposta al tampone, può ragionevolmente considerarsi non infetta per un limitato periodo di tempo. In tal caso, la garanzia che ella non abbia contratto il virus, non è assoluta, ma è certamente superiore a zero. Nessun dubbio che il tampone accerti l’inesistenza della malattia solo alla data in cui viene effettuato; ma ciò costituisce un dato comune a tutti gli accertamenti diagnostici e tale è il motivo per cui esso deve essere ripetuto periodicamente. La garanzia fornita dal tampone è senz’altro relativa, ma quella data dal vaccino è pari a zero. Quanto allo “stress” delle strutture sanitarie, è notorio che il tampone viene effettuato anche dalle farmacie e che il costo è sostenuto dal privato”.
Come già accennato in precedenza, le sentenze contrarie all’obbligatorietà del vaccino per il personale sanitario sono state numerose. In seguito alla appena citata sentenza del tribunale di Padova vi è, tuttavia, una seconda sentenza che merita una menzione d’onore: la sentenza del tribunale di Firenze del 31 ottobre 2022.
La sentenza appena anticipata ha preceduto di pochissimi giorni la pronuncia della Corte costituzionale ma nonostante abbia chiarito ulteriormente numerosi aspetti a dir poco contradditori della vicenda non ha sortito gli effetti che in molti speravano in piazza del Quirinale.
Ma cosa ha previsto il tribunale di Firenze? E perché la sentenza di cui sopra è stata, nel suo piccolo, rivoluzionaria?
La seconda sezione civile del Tribunale di Firenze, in composizione monocratica e con efficacia cautelare e provvisoria, ha stabilito, in parole povere, che l’obbligo vaccinale “contro” Sars Cov-19 vìola non solo la Costituzione, ma anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e che, di conseguenza, la parte resistente debba essere immediatamente reintegrata.
Nell’ordinanza, la giudice Susanna Zanda, in merito alle contraddizioni della normativa italiana rispetto alle leggi europee ha scritto: “Quanto all’art. 3 e art. 21 della carta di Nizza si rileva che esiste una disciplina unionale in merito proprio alla vaccinazione anti covid 19 in quanto l’Unione Europea ha varato vari provvedimenti normativi che hanno sempre espresso questi principi di non discriminazione e di rispetto del consenso libero e informato; a cominciare dai regolamenti di programmazione della vaccinazione, per passare al regolamento 953/21 in tema di circolazione dei cittadini europei che tutela coloro che non solo non possano ma anche non “vogliano” vaccinarsi. Anche la risoluzione europea n. 2361/21 […] raccomanda agli Stati una corretta campagna di informazione, soprattutto relativa alla non obbligatorietà del vaccino, alla sua sicurezza e ai possibili effetti indesiderati, in modo da assicurare una scelta consapevole e libera, senza alcuna forma di discriminazione o svantaggio per coloro che decideranno di non sottoporsi al vaccino, sottolineando che eventuali certificazioni vaccinali dovrebbero avere solo lo scopo di monitoraggio”.
Nel merito della legittimità dell’obbligo vaccinale rispetto alla Costituzione Italiana l’ordinanza del Tribunale di Firenze sottolinea due discrepanze nette tra i vaccini anti-Covid disponibili e i dettami costituzionali che regolamentano l’obbligo vaccinale. L’ordinanza evidenzia come sia appurato che i vaccini anti-Covid disponibili non evitino il contagio, citando a questo scopo anche i documenti dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Aifa che sottolineano che “i vaccini non impediscono il contagio; dunque vaccinati e non vaccinati sono vettori virali indistintamente” e come vi siano stati casi di reazioni avverse anche mortali in soggetti sani, come appurato anche dall’Agenzia del farmaco italiana (AIFA), che nel rapporto annuale scrive: “si ammette che vi siano stati decessi e reazioni avverse gravi in soggetti sani”. Si tratta di fattori che, secondo la giudice Susanna Zanda, rendono l’obbligatorietà della vaccinazione anti-Covid incompatibile con quanto prescritto da una sentenza della corte costituzionale del 1990 secondo cui: “La legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale. Ma si desume soprattutto che un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili”.
Come quindi spero si sia potuto comprendere, la giustizia italiana ha creato un diritto vivo fondato su princìpi evidenti e valutabili quotidianamente: se il vaccino “contro” il Covid-19 non è, in effetti, capace di impedire la diffusione del virus esso non può essere considerato uno strumento obbligatorio nella lotta contro la malattia in oggetto.
Dall’analisi fin qui compiuta, si evince altresì che la Corte costituzionale non ha ignorato solo il diritto vivo dei tribunali e il buon senso ma anche il diritto europeo.
Come spesso accade, purtroppo, l’appartenenza all’Unione europea e, di conseguenza, ad un insieme definito di valori trova ragion d’essere solo ed esclusivamente nell’osservanza rigorosa (e oserei ossessiva) delle regole di bilancio: eliminate queste, in effetti, dell’Unione e di ciò che rappresenta non resta quasi nulla e il disinteresse per la Carta di Nizza da parte della Corte costituzionale è una prova incontrovertibile.
Con la ratifica dei trattati comunitari di Parigi nel 1951 e Roma nel 1957 è stato istituito un nuovo tipo di ordinamento giuridico che ha imposto agli Stati membri determinate azioni al fine di costituire una nuova figura sovranazionale.
La caratteristica principale di tale comunità è rappresentata dal fatto che i rapporti fra gli stati membri non sono improntati alla semplice coordinazione intergovernativa ma subordinati (anche se solo in determinati campi) alla volontà superiore dell’ente stesso, l’Unione.
Ne consegue che, l’ordinamento europeo è, dunque, capace di imporsi ai singoli stati membri essendo costituito da organi legittimati ad emanare provvedimenti di carattere generale, nonché provvedimenti di carattere individuale che si applicano direttamente all’ordinamento giuridico nazionale e quindi non hanno necessità di essere recepiti dai singoli Stati partecipanti.
La già citata carta di Nizza è solo un esempio dei vari trattati che limitano la sovranità dell’Italia e se è vero, dunque, che la Grecia ha risposto positivamente alla stessa ammettendo inammissibile l’obbligatorietà del vaccino, credo sia lecito chiedersi perché l’Italia non ne abbia tenuto conto.
La contraddizione della Corte costituzionale non si estrinseca però in riferimento esclusivo alle decisioni dei tribunali e all’indicazione del diritto europeo: la contraddizione della Corte costituzionale è un fatto che trova ragion d’essere anche in riferimento a quanto la stessa ha dichiarato in passato, quando il Covid-19 non era un problema con cui confrontarsi.
La giurisprudenza degli ultimi decenni della Corte costituzionale ha ritenuto incostituzionale tutte le norme di obbligo vaccinale che non contenessero anche disposizioni sulla necessità di indennizzo, per cui, attualmente, l’obbligo vaccinale “contro” il Covid-19 è un obbligo incompleto e profondamente lesivo di un dettato giuridico ed etico ben definito.
Va bene, la Corte ha ritenuto non conforme alla Carta fondamentale invocare una libertà di autodeterminazione ai sensi dell’articolo 13 della Costituzione senza un’adeguata considerazione del dovere di solidarietà (art. 2) e della tutela della salute (art. 32) ma ha anche ribadito con la sentenza n. 307/1990 l’esistenza di un diritto all’indennizzo in favore di chi riporti un danno a causa di un trattamento sanitario obbligatorio imposto dalla legge.
Se è vero dunque che, il vaccino in esame non tutela contro il rischio di infezione, esso non è dunque un vaccino ma probabilmente un farmaco la cui somministrazione risponde ai criteri di trasparenza previsti per la somministrazione dei farmaci.
Allo stesso modo, se è vero che il vaccino in esame ha avuto effetti collaterali (come segnalato addirittura dal tribunale di Firenze che ha inviato gli atti del processo alla Procura di Roma affinché si apra un’inchiesta) è opportuno chiarire i termini dell’eventuale indennizzo in caso di effetti avversi prima di una possibile imposizione.
Sulla scorta di quanto affermato, è possibile, in conclusione, propendere per un’obbligatorietà solo a determinate condizioni che attualmente non esistono.
La pronuncia della Corte costituzionale oltre ad essere, come abbiamo visto, contradditoria, è quindi fallace ed incompleta ed è opportuno che presto o tardi si apra un dibattitto non già sul ruolo della stessa ma su come la stessa, in concreto, opera.
Mi sia concessa, in conclusione, una riflessione non scontata e solo apparentemente non tecnica: Ponzio Pilato, il governatore che rispettò in maniera pedissequa le normative anti Covid “lavandosi le mani” avrebbe potuto salvare Gesù dalle attenzioni dei Sommi sacerdoti?
Rispondere a questa domanda comporterebbe un approfondimento di storia del diritto romano che non ha senso fare in questa sede e sebbene sia approssimativo, probabilmente, continuare a ricordare anche qui il già citato governatore come il primo tra gli ignavi non è possibile ignorare (purtroppo o per fortuna) ciò che egli ha appunto rappresentato nella storia: un potere che non è potere.
Ponzio Pilato, nel bene e nel male, è stato perciò un idolo per chi ha preferito costantemente il grigiore, l’immobilismo e l’apatia ma non solo: a suo modo è stato un simbolo per una modernità che prende posizione per partito preso, per un popolo smarrito che non conosce il significato reale delle parole e,“Ça va sans dire”, per una Consulta che oggettivamente “si arrampica sugli specchi”.
Sì, pretendere un ruolo maggiormente creativo da parte di un organo come la Corte costituzionale incontra senza dubbio un limite ma questo limite è o non è il limite stesso che impone la Costituzione quando si discute di bilanciamento?
Lo stesso richiamo alla “ragionevolezza” è o non è una contraddizione se, nei fatti, si propende per una decisione che contrasta con quei valori empirici che dimostrano l’inefficacia di una politica fin troppo pervasiva nei confronti di alcuni?
Ecco, se è vero pertanto che il più grande ostacolo al futuro è una tecnica onnicomprensiva, credo che la giurisprudenza, (come qualsiasi altra disciplina), debba riscoprire oggi più che mai il carattere creativo proprio dell’essere umano affinché non si continui di conseguenza a dare struttura, purtroppo, a quella considerazione che pretende (giustamente) di vedere la giustizia come il frutto dei rapporti di forza esistenti.