Tra fede e ragione: un ricordo di Benedetto XVI

Nella giornata di sabato 31 dicembre 2022, si è spento a Roma il Papa emerito Benedetto XVI.

La scomparsa del Pontefice dimessosi l’11 febbraio 2013 è un evento importante, un evento triste che impone a mio modesto parere, una riflessione ampia.

Joseph Ratzinger è nato a Marktl am Inn, in Germania, il 16 aprile 1927. Nel 1951 fu ordinato sacerdote, nel 1977 fu creato cardinale, nel 1981 fu nominato da Giovanni Paolo II Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e il 19 aprile 2005 fu infine eletto Papa dal Collegio cardinalizio con il nome di Benedetto XVI.

Il suo ruolo, ancora prima di diventare Pontefice è stato esemplare e interessante soprattutto nell’ambito di una ricerca teologica e intellettuale dedicata ad una conciliazione tra fede e ragione, cioè tra fede e logos.

Non è possibile ridurre il pensiero di Benedetto XVI, né è possibile, allo stesso modo, semplificare lo stesso e riassumerlo in poche righe. È possibile, tuttavia, comprendere la profondità dell’eredità del Pontefice emerito approcciando come prima cosa due letture:  il cosiddetto “Discorso di Ratisbona” pronunciato il 12 settembre 2006 a Ratisbona, nell’aula magna dell’università e “Luce del mondo”, un libro-intervista scritto dal giornalista Peter Sewald in collaborazione con il Pontefice.

Il discorso appena citato, il cosiddetto discorso di Ratisbona” fu ampiamente frainteso e turbò non poco determinati ambienti; in modo particolare, pur essendo impegnativo riassumere i caratteri di quel discorso, Benedetto XVI prese posizione contro chi usa la violenza in nome di Dio perché commette offesa sia alla ragione che a Dio.

In effetti, ciò che Benedetto XVI intese suggerire fu che il venir meno della ragione può essere un pericolo sia per colui che crede sia per colui che non crede poiché, in altre parole, la ragione è alla ricerca della fede e la fede è alla ricerca della ragione, (il suo intervento, non a caso, non fu un intervento contro la religione islamica in sé ma un intervento contro qualsiasi forma di estremismo).

In un rapporto paritetico e oserei sinallagmatico, ragione e fede non hanno mai avuto perciò motivo per combattersi, al contrario! Ecco perché più di una volta Papa Benedetto XVI ha rimarcato i concetti riassunti a Ratisbona mettendo in guardia l’Ecumene da chi asseconda l’estremo, l’integralismo, l’ossessione e, probabilmente, lo scientismo.

Nel quinto capitolo del libro “Luce del mondo”, (“Dittatura del relativismo”), Benedetto XVI riassunse inoltre con precisione ciò che abbiamo già avuto modo di approfondire definendo i caratteri tirannici di quella che lui stesso definì con attenzione “dittatura del relativismo”.

A Peter Sewald confessò infatti che “La gran parte delle filosofie odierne sostiene effettivamente che l’uomo non sia capace della verità. Ma così non sarebbe nemmeno capace di moralità. E allora non avrebbe unità di misura alcuna. Dovrebbe soltanto badare ad arrangiarsi in qualche modo, e nel migliore dei casi, l’opinione della maggioranza diverrebbe l’unico criterio che conta. La storia ha dimostrato a sufficienza però quanto le maggioranze possano essere distruttive, ad esempio con i regimi del nazismo e del marxismo, l’uno e l’altro segnatamente anche contro la verità”.  

È pacifico riconoscere che un uomo come Benedetto XVI abbia guardato alla fede cattolica come la “verità”, (“quid est veritas?”) ma non è altrettanto pacifico, credo, comprendere la profondità di un messaggio che, sebbene sia ispirato dalla fede, si prefigge l’obiettivo di gettare tra la folla confusa del ventunesimo secolo una domanda a dir poco spiazzante: se ammettiamo che l’uomo non è capace di cercare la verità significa che egli non è nemmeno capace di cercare la moralità?

Al ricordo delle parole pronunciate nel corso dell’omelia della Messa di apertura del conclave (““La dittatura del relativismo” non riconosce nulla come definitivo e lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”), il Pontefice aggiunse inoltre delle parole interessanti a comprendere non solo il senso del suo pensiero ma anche il reale significato di ciò che comunicò a Ratisbona: “Ed è proprio per questo che noi dobbiamo avere l’audacia di dire: sì, l’uomo deve cercare la verità; egli è capace di verità. È chiaro che la verità necessita di criteri di verificabilità e di falsicabilità, E sempre deve andare anche mano nella mano con la tolleranza. Così la verità ci mostra anche quei valori permanenti che hanno reso grande l’umanità. Per questo deve essere nuovamente imparata ed esercitata l’umiltà di riconoscere la verità e farla diventare criterio di misura.”

Nonostante il defunto Pontefice si sia spesso e volentieri servito di un linguaggio semplice per veicolare messaggi importanti, le sue parole sono state spesso fraintese come abbiamo visto.

Il suo impegno, tuttavia, contro un ridimensionamento della figura dell’Uomo in un contesto globalizzato dove istintività, rifiuto del dolore (e del suo significato), apparenza, consumismo e non da ultimo, relativismo è stato fondamentale per continuare ad opporre al dogmatismo qualcosa di concreto e tangibile.

In conclusione, credo che il ricordo di Benedetto XVI non sia un ricordo caro solo ai cattolici ma a tutti gli uomini e a tutte le donne che hanno ancora a cuore un utilizzo sapiente e consapevole della ragione: certo, è normale, a questo punto, pensare a San Tommaso, alla filosofia scolastica, a San Benedetto (il cui impegno ha ispirato, non casualmente Joseph Ratzinger nella scelta del suo nome come Papa), ma credo sia tuttavia doveroso porsi un’ultima domanda: dove sta andando, veramente, l’umanità?

La lettura di alcuni grafici ci spiegano che “le cose vanno bene”, l’istruzione è aumentata e la povertà è diminuita ma quei grafici, come spesso è accaduto recentemente, dimenticano di mostrare la situazione nel suo complesso: l’istruzione è aumentata ma sono aumentate anche consapevolezza e cultura? La povertà è diminuita ma in quale misura? E dove? E come può essa rispondere ad un calo costante del potere di acquisto?

Nel 2000, l’allora Cardinale Joseph Ratzinger non usò mezze misure a Palermo e anticipando ciò che solo negli ultimi anni è emerso con prepotenza, pronunciò parole abissali che ritengo essere perfette, ora, per definire con coerenza non solo ciò che ha rappresentato il Pontefice appena scomparso ma ciò che spero ispirerà la lotta di altre persone:

“Le macchine che sono state costruite impongono la stessa legge che era adottata nei campi di concentramento.

Secondo la logica della macchina, secondo i padroni della macchina, l’uomo deve essere interpretato da un computer, e questo è possibile solamente se l’uomo viene tradotto in numeri.

La Bestia è un numero, e ci trasforma in numeri.

Ci sono tentativi di costruire il futuro che assumono una configurazione sempre più definita, che va sotto il nome di Nuovo Ordine Mondiale.

Trovano espressione sempre più evidente nell’ONU e nelle sue conferenze internazionali che lasciano trasparire una vera e propria filosofia del mondo nuovo. Questa filosofia non ha più il carattere utopico del Marxismo, al contrario fissa i limiti del benessere raccomandando ad esempio di non preoccuparsi della cura di coloro che non sono più produttivi.

Questa filosofia non si aspetta che gli uomini siano pronti a fare sacrifici per raggiungere un benessere generale. Al contrario, propone strategie per ridurre il numero di commensali alla tavola dell’umanità affinché non venga intaccata la pretesa felicità di taluni. Il problema decisivo è la complessiva tenuta morale della società.

Non si possono minimizzare gli scenari inquietanti per il futuro dell’uomo e i nuovi potenti strumenti che la “cultura della morte” ha a disposizione”.

P.S. A seguito di un confronto sul tema della pedofilia nella Chiesa credo sia opportuna una breve precisazione finale.

Dopo la scomparsa del Papa emerito Benedetto XVI si è scritto a proposito dei suoi tentativi di nascondere i casi di pedofilia ma, purtroppo, si è dimenticato di quando già come cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede invocò la “tolleranza zero” per gli abusi sessuali del clero.

Il ricordo che ho dedicato al Pontefice non è un resoconto storico del suo pontificato bensì un modesto resoconto di un pensiero semplice ma spesso frainteso; ciononostante, sebbene sia difficile scindere spesso e volentieri pensiero ed azione, è opportuno tenere comunque a mente diversi aspetti del problema.

Purtroppo, la pedofilia è un tema terribile e complesso e credere che possa essere affrontato con facilità è sbagliato. Allo stesso modo, è sbagliato liquidare la figura di Joseph Ratzinger in maniera sbrigativa senza tener conto di quegli attacchi che spesso sono stati rivolti alla Chiesa e alla persona del Pontefice emerito esclusivamente per screditare un’istituzione complessa e, appunto, un uomo.

In conclusione, pur ribadendo che sia difficile dividere ciò che è stato da ciò che è stato pensato, credo sia necessario approfondire con attenzione la qualità effettiva dei giudizi che si è soliti dispensare alla morte delle grandi personalità: i re, le regine, i papi, i presidenti e addirittura i santi sono in effetti uomini e donne le cui personalità quasi sempre complesse hanno dovuto affrontare spesso situazioni poco semplici e decisamente non chiare.

Se per un momento pensassimo con attenzione anche solo a Giovanni Paolo II, non a caso ci troveremmo nella condizione di osservare luci ma anche chiaroscuri e ombre che la storia (spero) definirà; per evidenti ragioni, a prescindere da ciò che Papa Benedetto XVI ha scritto credo sia doveroso confidare esclusivamente nel ruolo chiarificatore ed istruttivo che ha la storia affinché si chiarisca ciò che ci sembra misterioso.