L’Italia al penultimo posto per equità intergenerazionale

Italia al penultimo posto per equità intergenerazionale. Nel 2030 serviranno 28 anni di lavoro per diventare adulti.

I giovani italiani diventeranno grandi a 50 anni (forse). Scrive la Fondazione Visentini: «Se un giovane di 20 anni nel 2004 aveva impiegato 10 anni per costruirsi una vita autonoma, nel 2020 ne impiegherà 18 (arrivando quindi a 38 anni), e nel 2030 addirittura 28».

Tra pochi anni il traguardo di ingresso nell’età adulta slitterà e quella che era una volta la piena maturità diventerà l’inizio.

Tutta colpa del ritardo nell’equità intergenerazionale, un dato dove l’Italia è penultima in Europa davanti solo alla Grecia.

Si cerca quindi un nuovo patto tra generazioni con un contributo fondamentale da parte soprattutto dei pensionati nella parte apicale delle fasce pensionistiche, “un intervento progressivo sia rispetto alla capacità contributiva, sia ai contributi versati”, si legge nel commento allo studio. «Serve una rimodulazione dell’imposizione che, con funzione redistributiva, tenga conto della maturità fiscale, con contributo solidaristico da parte della generazione più matura che gode delle pensioni più generose. Doveroso, non solo sotto il profilo etico, ma anche sotto quello sociale ed economico».

Il governo sta lavorando a qualcosa del genere ma la soluzione sembra ancora lontana.

Intanto, aumentano i Neet: i ragazzi che non studiano, non lavorano e non apprendono una professione costano uno sproposito alla nostra economia. Ben 32,65 miliardi, in calo rispetto ai 34,6 miliardi del 2014, ma pesantemente più dei dati pre-crisi quando la somma era calcolata in 23,8 miliardi. Praticamente, il 2,3% del pil viene usato per sostenere il costo sociale dei Neet.

Ricordiamo inoltre che il debito pubblico continua ad aumentare, lo Stato di conseguenza fa sempre più fatica a garantire un welfare efficiente e le generazioni nate a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 vedono ogni anno allontanarsi sempre di più il traguardo della pensione con grave danno di conseguenza per il mercato del lavoro dove i giovani all’entrata non trovano spazio.

Paghiamo il peso di anni e anni non solo di cattiva politica ma soprattutto di inattività.

Start-up e impresa potrebbero una soluzione vincente: è in tempi di crisi che l’ingegno si aguzza e la possibilità di reinventarsi come imprenditori potrebbe essere allora una risposta positiva.

Mi è capitato spesso di conoscere genitori troppo premurosi e troppo attenti. Talmente attenti da negare ad un figlio o ad una figlia di partire per un viaggio di studio o un’esperienza lontano da casa. Quegli stessi genitori, inutile prendersi in giro, appartengono ad una generazione che sostiene che i ragazzi restino troppo tempo a casa con i genitori.

Da questo circolo vizioso così paradossale è difficile uscirne senza una rivoluzione del pensiero che stimoli all’autonomia e all’indipendenza fin da piccoli, fin dalle scuole elementari.

Non bastano i buoni voti a scuola, il successo ma soprattutto la felicità di una persona nella vita dipende da numerosi altri fattori.

Avere il coraggio di sbagliare, di imparare quindi dai propri errori e riprovare è il primo passo di un percorso di autentica crescita. Nella scuola ma soprattutto nel lavoro.