Fermare Pechino

Non si può leggere (e comprendere) “Fermare Pechino” senza un adeguato ripasso de “La guerra del Peloponneso” di Tucidide.

“Fermare Pechino” non è infatti un viaggio come un altro tra Cina e Stati Uniti d’America, è un viaggio nel tempo: è un’ ombra della storia sullo schermo di proiezione dell’avvenire.

Secondo Federico Rampini, l’autore, “Fermare Pechino” è “un viaggio nel grande paradosso di una sfida planetaria”: un viaggio tra i corsi e i ricorsi storici, un viaggio tra due superpotenze che si studiano e si copiano a vicenda.

Nello specifico, “Fermare Pechino” si distingue dai precedenti libri dell’autore perchè inizia ad indagare quei punti di contatto (e scontro) fino ad ora ignorati nel contesto di una globalizzazione fin troppo divinizzata.

Il libro si sviluppa in dodici capitoli e ha inizio con un dialogo (apocrifo) tra il presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden e il leader del partito comunista cinese Xi Jinping. In questo dialogo, Federico Rampini già ci svela quegli elementi di contrasto che saranno affrontati nel corso del libro, elementi di contrasto che vedono contrapporsi una potenza come gli Stati Uniti d’America, alle prese con un’ evidente flessione della propria sicurezza, e una Cina in costante crescita economica dove al contrario nessuno vuole più accettare un ruolo subalterno nello scacchiere geopolitico internazionale.

Vero, già nel libro “La seconda guerra fredda”(2019), Federico Rampini aveva messo a confronto gli Stati Uniti d’America alla Cina ma allora i Talebani non avevano ancora riconquistato Kabul e il Covid-19 non aveva ancora condizionato le nostre vite. Di conseguenza, nel 2019 si poteva continuare ad ignorare questioni che oggi non possiamo più permetterci di ignorare…

Da quando Joe Biden si è insediato alla Casa Bianca, ha iniziato “un esperimento” che vuole opporre all’espansionismo (non più silente) di Pechino un modello socialdemocratico ispirato a FDR e a JFK.  Ma con quali limiti il presidente è destinato a scontrarsi? Innanzitutto con tutte quelle divisioni interne al suo paese, divisioni che condizionano l’opinione pubblica e spingono soprattutto i giovani a guardare agli U.S.A. come ad nuovo “impero del male”.

Per fermare Pechino, dunque, le democrazie occidentali non possono più fare affidamento sulla coesione, sul nazionalismo e sull’autostima che animano i cinesi. Il rischio, infatti, che la competizione degeneri fino allo scontro militare è più alto di quanto crediamo…

E l’Europa? Cosa fa l”Europa? L’Europa  aspetta e mentre Cina e U.S.A. vedono le proprie rispettive posizioni crescere, l’Europa si sgretola e diventa “terreno di conquista”.

Tra Atene e Sparta, quindi, cosa resta della globalizzazione?

In apertura, ho scritto che non è possibile comprendere pienamente “Fermare Pechino” senza un adeguato ripasso de “La guerra del Peloponneso” di Tucidide perchè forse è proprio nel confronto tra le due grandi città greche che possiamo trovare una possibile risposta a ciò che aspetta.

“La trappola di Tucidide” è un riferimento costante nelle lotte fra potenze. L’espressione fu coniata da Graham Allison, docente dell’università di Harvard, per indicare che a volte i leader di potenze rivali si lasciano trascinare nel vortice di decisioni senza misurarne le conseguenze finali.

In altre parole: quando Atene fu sconfitta da Sparta, rinunciò alla democrazia a vantaggio dell’oligarchia spartana nella convinzione che fosse un sistema di governo più efficiente; tuttavia, con questa decisione non solo aprì le porte del governo ai Trenta tiranni ma anche ad un irreversibile declino che avrebbe condizionato tutta la Grecia.

Attualizzando il confronto greco, negli Stati Uniti d’America non pochi hanno guardato alle elites che hanno fatto affari con la Cina in un contesto sempre più globalizzato come ad nuovo governo di Trenta tiranni.

Un’estremizzazione? Forse, ma dal canto mio non posso non guardare con sospetto chi si illude che la Cina goda di un sistema politico più efficiente (in termini assoluti).

Nel capitolo quinto del libro, Federico Rampini racconta di Wuhan e di come sia stata gestita l’emergenza del Covid-19 nei primi mesi del 2020. In particolare, racconta di Fang Fang, una scrittrice che ha denunciato apertamente gli errori del governo e si è interrogata sui limiti del suo operato.

In “Wuhan. Diari di una città chiusa”, l’autrice tocca il punto debole dell’autoritarismo cinese: se non esistono meccanismi con cui i cittadini possono sanzionare gli errori dei governanti, se mancano una stampa libera e una magistratura autonoma a perseguire i colpevoli, perchè il prossimo cataclisma dietro l’angolo non dovrebbe essere affrontato con gli stessi errori ce hanno segnato la risposta iniziale al Covid-19?

In tempi in cui è facile cedere al fascino del paternalismo e dell’autoritarismo, sarebbe in conclusione bene tentare di rivalutare quei valori che fino a prova contraria hanno comunque contraddistinto l’Occidente e permesso allo stesso conquiste come il parlamentarismo, i diritti delle minoranze e il welfare.

Se nel gioco delle parti, l’Occidente riuscirà pertanto a comprendere quanto fondamentale sia il valore della responsabilità nella conduzione della vita democratica, riuscirà a salvarsi?