Tra i “Dalì” e i “Calamari”…
Nonostante la rapina alla Banca di Spagna non sia ancora terminata, l’opinione che “El Profesor” e la sua banda si siano spinti “oltre” ha già insediato le opinioni di una larga parte del pubblico internazionale. Doveva succedere prima o poi.
E’ accaduto a Frank Underwood e a Daenerys Targaryen, è accaduto cioè al Presidente degli Stati uniti d’America e alla “madre dei draghi”. Chi è “El Professor” per evitare i capricci del pubblico?
Le serie televisive dopotutto, esattamente come gli imperi degli uomini, sorgono e cadono. La loro memoria lascia traccia, sì, ma certamente non nel cuore delle maggioranze dove invece solo le opinioni del momento trovano spazio…
La loro memoria, come la memoria storica, prima o poi passa infatti di moda e l’unico luogo dove può continuare a sopravvivere è di conseguenza il ricordo affezionato di qualche individuo che non riesce proprio a fare a meno del confronto critico.
L’autunno si appresta quindi a diventare non un periodo di “attesa” per l’epilogo de “La casa de papel” ma un periodo di “giochi”; anzi un periodo di “Squid game”.
Se non lo avete visto, “Squid game” racconta la storia di 456 poveri disgraziati pieni di debiti che accettano di partecipare a una sorta di “Giochi senza frontiere” dove un solo concorrente può vincere l’intero montepremi (a discapito degli altri 455 che vengono invece eliminati fisicamente da guardie mascherate).
Nulla di strano. Fin qui. Si tratta pur sempre di un serie televisiva… Peccato che ad assistere allo spettacolo ci sia un manipolo di persone estremamente ricche che dai maxischermi segue i giochi e scommette come si fa all’ippodromo…
Insomma, va bene tutto ma personalmente in questo successo letteralmente mostruoso ho visto un meccanismo cinico, perverso e competitivo assai preoccupante.
Se a noi europei può magari apparire caricaturale l’idea di rischiare la propria vita ad un gioco perché abbiamo ancora uno “straccio” di Stato Sociale, per un coreano le premesse possono invece apparire assolutamente autentiche…
In Corea del sud, chi è fragile e sfortunato, o semplicemente pigro e incapace, non gode di reti di protezione ed è disposto a tutto, persino a cedere i propri organi (in Corea del Sud prospera, infatti, un fiorente mercato di organi). Per cui, devo ammetterlo: pensare ai valori dell’Occidente in crisi mi preoccupa perché non vorrei che ad essi si sostituisse tra non molto “l’ideologia del calamaro” …
Qualcuno, sono sicuro che giudicherà le mie opinioni eccessive, dopotutto si tratta pur sempre di finzione, no?
Certo, ma dimenticare che il ruolo dell’arte è (anche) quello di veicolare dei messaggi può essere sicuramente pericoloso.
Cosa dire, dunque, di tutti quei bambini che hanno rivisitato il gioco di “Un, due, tre stella!” in chiave “Squid game”? E cosa dire di chi ha chiesto di vietare la serie ai minori di quattordici anni per timore, appunto, che i tentativi di emulazione della serie aumentassero?
Sarò franco: io preferivo “El Profesor” e sapete perché? Perché sebbene fosse il capo della banda più ricercata di tutta la Spagna, almeno aveva degli ideali.
“Però fate attenzione: perché se dovessimo versare anche una sola goccia di sangue…fare anche solo una vittima…non saremmo più dei Robin Hood, diventeremmo dei semplici figli di puttana…”
Così presentava la rapina alla Zecca di Stato, Sergio Marquina, “El Profesor”: come un atto degno di un manipolo di Robin Hood. Un atto, sovversivo, contro uno Stato corrotto!
Certo, anche rapinare la Zecca di Stato può essere visto come un atto diseducativo ma quanto idealismo e quanto romanticismo in quella finzione che pretendeva di valorizzare un messaggio diverso dal solito…
Certo, anche “El Profesor” si è circondato di ultimi disposti a tutto pur di superare i propri problemi economici ma quegli ultimi, pur sapendo che avrebbero potuto morire, non hanno accettato “un lavoro” per divertire i potenti ma per combatterli!
“Squid game” non può quindi essere paragonato a “La casa de papel”. Neppure per errore.
“Squid game” non ci ha infatti raccontato una possibile realtà ma una realtà già viva dove per soldi si è spesso disposti a tutto (anche ad accettare di divertire quegli stessi potenti che non si farebbero scrupoli ad essere più ricchi).
La sua logica non ha pertanto immaginato dei protagonisti in lotta contro l’origine delle proprie difficoltà, ma dei protagonisti che accettano un gioco dove un’illusione serve esclusivamente a compiacere i potenti.
Inoltre, ci ha rivelato una verità amara, una verità che prima o poi, qualcuno dovrà affrontare: la vuotezza acritica del pubblico.
Si può infatti apprezzare “Squid game” ma come si fa a riconoscersi nei suoi protagonisti dopo essersi riconosciuti nei protagonisti de “La casa de papel”? Esiste o non esiste un mondo di plastica, asettico e freddo dove tutto si confonde e le maggioranze, dunque, non sono più capaci di affezionarsi (realmente e coerentemente) ad un solo filone narrativo?