Zan Zan Zan

In questi giorni sto leggendo “Fermare Pechino” di Federico Rampini: un viaggio nel cuore della Cina di Xi Jinping estremamente appassionante e dettagliato.

Al capitolo cinque (“I segreti che Wuhan nasconderà per sempre”), l’autore racconta di come il governo cinese ha gestito nei primi mesi del 2020 la diffusione del virus Sars-Cov-19 e racconta inoltre dell’interessante vicenda di Fang Fang, una scrittrice che ha vissuto in prima persona il “pugno duro” del governo di Pechino quando Wuhan ha conosciuto il Lockdown.

Tra le righe del diario che Fang Fang tenne in quei mesi (diario che fu puntualmente censurato dal governo e successivamente pubblicato negli Stati Uniti d’America), la scrittrice ci propone numerose riflessioni ma ce n’è una in particolare che mi ha colpito e che vale la pena riproporre (“per salvare l’Occidente”): “Non ho mai visto una sola persona che si sia presa una responsabilità e abbia presentato le sue scuse.” Cosa significa? Significa che Fang Fang, in parole povere, demolisce l’assioma di Xi Jinping secondo cui il sistema (autoritario) sia più efficiente di una liberaldemocrazia occidentale: se anche un sistema autoritario può sbagliare, chi si assumerà la responsabilità dell’errore? Quale sistema punirà il rappresentante dello Stato che ha fallito se non si può votare?

Se mancano, perciò, meccanismi attraverso cui i cittadini possono sanzionare gli errori dei governanti, se mancano una stampa libera e una magistratura autonoma, perché il prossimo “cigno nero” non dovrebbe essere affrontato esattamente come è stato affrontato il Covid? Chi può garantire, in conclusione, una “performance” impeccabile?

Perché citare questa riflessione in apertura di un contributo dedicato al DDL Zan? Perché ieri, mentre leggevo il capitolo cinque del libro di Federico Rampini e il Senato della Repubblica italiana “affossava” il DDL Zan a suon di applausi, come se fosse un circo, non ho potuto fare a meno di compiere “un volo pindarico”…

Cosa è successo? Il DDL Zan è stato bocciato ancora prima che si entrasse nel merito di articoli ed emendamenti e l’aula di Palazzo Madama ha approvato con 154 voti a favore, 131 contrari e 2 astenuti il non passaggio alla discussione degli articoli. La votazione, è opportuno ricordarlo, è avvenuta a scrutinio segreto come richiesto da Lega e Fratelli d’Italia.

Ora, la questione è questa: la realtà è (s)fortunatamente è più complessa di quanto sembri e ogni tanto occorre alzare lo sguardo oltre le barriere dei propri partiti di riferimento.

Il DDL Zan era una proposta fallace, come gran parte delle proposte legislative ma, non si può negare che il suo obiettivo prioritario fosse quello di dare più tutele.

Per chi non lo sapesse, il DDL Zan è stato scritto per attuare delle “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”.

Niente di strano, quindi. Ciononostante, “il dibattito” politico che si è acceso intorno ad una misura potenzialmente interessante si è macchiato fin da subito di ideologia: ad una sinistra che si è negata al confronto si è contrapposta una destra (veramente) ambigua che pur pretendendo un confronto (legittimo e necessario) non ha mai proposto una mediazione che potesse in ogni caso preservare lo scopo di partenza del DDL Zan, (ossia tutelare chi subisce una violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”).

Si badi bene: in questa storia non ci sono vincitori. Ci sono solo vinti. E i vinti siamo tutti.

Già, perché lo spettacolo che abbiamo visto ieri in Senato è stato l’epilogo di uno spettacolo raccapricciante che ha visto la democrazia spegnersi.

In un paese come l’Italia, in un paese cioè democratico che si riconosce nei valori più autentici dell’Occidente, non dovrebbe esserci alcun dubbio nel cercare una sintesi per tutelare chi subisce delle discriminazioni. Certo, in un paese democratico che si riconosce nei valori più autentici dell’Occidente non servirebbe neppure una legge perché dovrebbe bastare il buon senso dei cittadini ma una legge può fare qualcosa e se viene meno il confronto perché si pretende di trasformare il Parlamento in un posto di serie b, allora cosa possiamo aspettarci (ancora)?

Scritto tutto questo, ci tengo a fare in definitiva alcune precisazioni: (ri)partire da Fang Fang mi ha aiutato ad osservare la “fine” del DDL Zan con amarezza, non già perché lo condividessi in termini assoluti (la proposta si sarebbe potuta modificare in alcuni passaggi) ma perché non ho capito come sia stato possibile non trovare un accordo su un tema che dovrebbe vedere tutti d’accordo (la tutela delle “minoranze”).

A proposito: ho usato il termine “minoranze” per praticità ma non vorrei guardare ai membri della comunità LGBTQ e a chi è diversamente abile come ad un membro di “una specie in via di estinzione”; vorrei piuttosto che tutti guardassimo a chi si riconosce nei valori LGBTQ ed è diversamente abile come ad un cittadino tale e quale a chi è eterosessuale e non ha disabilità.

Viviamo pur sempre in una democrazia, no? Siamo o non siamo tutti uguali davanti alla legge?

Godiamo o non godiamo tutti, senza distinzione, degli stessi diritti fondamentali sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti umani?

Riconoscere l’uguaglianza dei membri della comunità LGBTQ e battersi per permettere a chi è diversamente abile di vivere una vita come tutti, dovrebbe essere una questione che supera steccati ideologici ormai superati e strumentalizzati a piacimento. Chi può stabilire chi è migliore? Nessuno perché è (anche) questo che ha fondato l’Occidente (con buona pace di chi la storia la interpreta “ad libitum”)…

Insomma, se in un Parlamento si rifiuta il confronto (a prescindere) perché gli avversari “sono omofobi” e gli avversari, di conseguenza, ricorrono alla tattica politica per emulare Pirro, possiamo ancora ritenerci in buone mani? Quale esempio possono dare alle generazioni future chi non sa parlare? Quale significato può ancora avere l’articolo 1 della Costituzione (e la Costituzione stessa) se relativizziamo anche dei princìpi che dovrebbero essere riconosciuti da tutti?

Non sono un superuomo ma se io, scrittore tradizionalmente di destra (per alcune cose) riesco a condividere anche tante battaglie sociali della sinistra, vuol dire che chiunque può guardare oltre il limite delle proprie adesioni di partito.

Dopotutto, ed è questo il punto, io che sono innamoratissimo della mia ragazza, non ho gli stessi diritti di un mio coetaneo innamoratissimo del suo ragazzo?

Se riesco io, ripeto, a guardare con criticità al di là delle tradizionali divisioni, perché non può esistere un sano pragmatismo che sappia tutelare alcuni “punti fermi” senza “se e senza ma”, (in nome dell’educazione?).

Abbiamo un “Occidente da salvare” e non lo salveremo a colpi di ipocrisia e ambiguità.  Fidatevi.