Resistere.

Resistere. Resistere. Resistere.

La crisi globale che stiamo vivendo non ha precedenti.

In queste lunghe giornate dominate dall’incertezza e dalla preoccupazione, le notizie sono molte e le idee, purtroppo, poche.

Nella giornata di giovedì 12/03, Christine Lagarde, la Presidente della Banca Centrale europea, ha dichiarato: ” Non siamo qui per chiudere gli spread, ci sono altri strumenti e altri attori per gestire quelle questioni”.

E’ superfluo precisare che la delusione dei mercati finanziari è stata evidente e tutti i principali indici mondiali hanno chiuso in negativo.

Insomma, in un istante la BCE ha dimenticato le parole di Mario Draghi, il quale si impegnò a fare “qualunque cosa” per contrastare le scommesse contro alcuni Paesi in vista della rottura dell’euro (“Whatever it takes”).

L’aspetto più rivelatorio delle parole di Christine Lagarde non è però l’apparente impreparazione, ma i punti di riferimento della governatrice francese.

Ieri è iniziato infatti a trasparire che oggi sono quelle dei tedeschi, (soprattutto del presidente della Bundesbank Jens Weidmann), le voci più influenti ai vertici della BCE.

Essere europeisti non è semplice. Esiste dopotutto qualcosa di semplice (e scontato?)

Non credo proprio.

L’Unione europea ha tanti aspetti positivi che non dobbiamo assolutamente dimenticare (prima di ogni cosa i progetti di finanziamento dedicati ai territori e alle imprese) e gettare via un progetto imperfetto ma comunque straordinario per colpa di pochi particolarismi sarebbe stupido.

Ora, i particolarismi sappiamo tutti molto bene essere purtroppo (o per fortuna) un elemento fondante della realtà umana, ma esistono dei limiti.

Sorgono dei dubbi in questi giorni circa la reale natura dell’Unione di cui facciamo parte, Unione di cui, ripeto, nessuno vuole esaltare esclusivamente i princìpi fondanti in modo cieco e inutile.

Sorgono insomma dei dubbi circa le strategie di un’organizzazione scomposta e non ben identificata che ancora non riesce ad avere una vera identità, una reale strategia di crescita comune.

Non esistono buoni contro cattivi: qui esiste un paese, il nostro, che deve resistere e lavorare di più in Europa affinché non sia più considerato un paese di serie b.

Perché abbiamo smesso di lottare per i nostri valori e per le nostre esigenze?
Perché abbiamo deciso di affrontare il futuro come spettatori passivi?

Se in un mondo di giganti non possiamo più camminare da soli, allora evitiamo inutili vittimismi e lavoriamo con decisione (e non solo a parole) nei tavoli che contano, sfruttiamo in modo intelligente tutti quei vantaggi economici che spesso e volentieri diamo per scontati (bandi europei in testa).

A differenza dei nostri nonni e dei nostri genitori, noi, generazione nata tra gli anni ’80 e il 2000, non abbiamo conosciuto la guerra, il terrorismo, la politica come senso di appartenenza a un destino comune, le lotte sindacali per conquistare maggiori diritti.

Ora, abbiamo il dovere di essere responsabili e forti, soprattutto in Europa.

La felicità individuale e i particolarismi sono parte integrante di questo mondo e di una cultura ormai innegabile ma oggi più che mai abbiamo di fronte l’evidenza di quanto sia necessario imparare a bilanciare esigenze singole (come individui e stati) ed esigenze collettive (come gruppi o organizzazioni sovranazionali). Non è difficile essere responsabili e condividere: abbiamo solo dimenticato come si fa.

Philip Kindred Dick, autore del libro “La Svastica nel sole”, scriveva: “L’universo non avrà fine, perché  proprio quando sembra che l’oscurità abbia distrutto ogni cosa, e appare davvero trascendente, i nuovi semi della luce rinascono dall’abisso.”

Io non credo al mito di un’Unione perfetta a prescindere, né al mito del complotto contro l’Italia vittima della gelosia altrui; io credo nell’impegno dei singoli che crescendo da soli possono anche crescere insieme, credo nella necessità di ripensare il futuro con nuove idee e nuove parole: nuove dimostrazioni di coraggio.