Nonostante l’export in ripresa debito e vuoto dirigenziale minacciano la ripresa: Quo vadis Italia?

Quo vadis Italia? Nonostante l’export in ripresa debito e vuoto dirigenziale continuano a ostacolare la ripresa e ciò non può che ispirare una domanda: perché l’Italia continua allora deludere le aspettative?

Tanto per cominciare il bilancio pubblico continua ad essere recessivo, e non espansivo e ciò significa una cosa ben precisa: il deficit di bilancio non finanzia maggiori investimenti pubblici, ma contribuisce a pagare unicamente buona parte degli interessi sul debito pubblico già accumulato.

Riassumendo: facciamo nuovo debito per pagare in buona sostanza gli interessi e così facendo, non ci poniamo nella condizione di chiedere al mercato finanziario risorse ulteriori da aggiungersi a quelle derivanti dalle entrate fiscali, ma prendiamo somme a prestito per pagare gli interessi su un debito contratto in precedenza.

Nel Def per il 2016, varato ad aprile scorso, le spese per gli interessi sul debito pubblico previste nel conto economico delle Pubbliche Amministrazioni ammontavano al 4% del PIL, mentre il deficit si manteneva pari al 2,3% del PIL; il saldo primario, che rappresenta la differenza tra le entrate e le spese pubbliche depurate dall’onere per gli interessi sul debito, era invece pari all’1,7% del PIL.

Per stabilizzare il rapporto debito/PIL, sarebbe necessario che la crescita del PIL in termini nominali (crescita reale + inflazione) fosse almeno pari al deficit. Se il deficit per il 2016 era pari al 2,3% del PIL, e questo deficit ricordiamo bene si somma al debito che alla fine dell’anno precedente era pari a circa il 133% del PIL, la stabilizzazione del rapporto debito/PIL richiede che il PIL nominale (il denominatore del rapporto debito/PIL) cresca della stessa percentuale (+2,3%). Ma se il PIL nominale non cresce almeno del 2,3%, perché il PIL reale rallenta e l’inflazione continua a tendere a zero, il rapporto debito/PIL peggiora inevitabilmente.

Nonostante l’onere degli interessi sul debito pubblico stia diminuendo per via degli interventi della BCE attraverso gli acquisti di titoli pubblici con il Quantitative Easing, (che ha determinato la riduzione degli spread), l’Italia ha ancora un onere pesantissimo di interessi sugli oltre 2.200 miliardi di euro di debito pubblico accumulato.

Lo Stato in Italia spende annualmente per gli interessi sul debito pubblico una somma pari almeno al doppio, se non al triplo, di quella che destina agli investimenti e ciò significa in definitiva una sola cosa: l’Italia si dissangua da vent’anni per pagare i Rentier di tutto il mondo, (tra il 1993 ed il 2013, l’Italia ha in effetti pagato interessi per 1.650 miliardi di euro, rispetto ad un PIL che nel 2013 era di soli 1.365 miliardi).

Nonostante i buoni dati sull’export, gli investimenti in ricerca e sviluppo in Italia sono però sempre più bassi e la fiducia dei consumatori non sale. Con i consumi in Italia fermi infatti (l’aumento dei depositi bancari dimostra quanto gli italiani siano spaventati dal futuro e preferiscano risparmiare, piuttosto che investire) non avremo mai un’autentica ripresa.

P.S. E’ certo che le attuali politiche di bilancio europee non giovino e che esse, prima o poi, dovranno confrontarsi con la necessità di una politica economica ancora più espansiva ma ad ora, come possiamo ritenere che una classe dirigente (e amministrativa) priva di visione e competenza possa davvero realizzare un piano economico capace di conciliare sviluppo, investimenti e ridistribuzione della ricchezza (a vantaggio di un sistema sociale, naturalmente, sempre più precario)?