Alla ricerca di un nuovo progetto di Globalizzazione: la sfida infinita

La Globalizzazione è davvero una sfida infinita e complessa. La mia generazione è stata definita “generazione Erasmus”: la mia generazione ha goduto di un periodo di espansione economica e di rinascita culturale che dopo la fine della Guerra fredda ha puntato tutto sulla graduale riduzione delle barriere. Schengen, l’internazionalizzazione dei mercati, Facebook, Whatsapp, Skype, il progetto Erasmus appunto sono solo alcuni dei veicoli che hanno consentito di avvicinare i paesi, le culture…

La globalizzazione è sempre esistita, in forme diverse naturalmente, ma il perfetto isolamento è sempre stato un miraggio. Dopo anni di barriere, l’euforia della caduta del muro di Berlino ha portato molti a credere che la storia fosse finita. Poi il terrorismo, la crisi economica, la delocalizzazione selvaggia, la competizione fuori controllo hanno risvegliato il mondo e precipitato potenze come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti verso Brexit e Donald Trump. Risposte protezionistiche, un po’ nostalgiche che chiudono le porte al problema piuttosto che affrontarlo. Il sogno così si infrange, si spezza e iniziano a circolare sentenze sbrigative come “ognuno a casa sua”. Ma l’euro, la globalizzazione, l’internazionalizzazione dei mercati sono processi irreversibili: se decidessimo di portare indietro le lancette dell’orologio dovremmo sostenere un costo di energie, tempo e risorse tale troppo alto, e a quel punto sarebbe decisamente più proficuo investire nelle salvaguardia e nel consolidamento di ciò che già abbiamo regolarizzando ciò che non abbiamo ancora definito. La storia si scrive guardando avanti. Investire in questa direzione significherebbe non vanificare quanto già realizzato. La costruzione di un contesto internazionale dove poter operare liberamente senza troppi vincoli è un processo difficile e come ogni percorso comporta ostacoli e fallimenti. Fermare tutto ora significherebbe rinunciare a grandi possibilità per paura, esattamente come quella persona che si lamenta del contesto dove vive e non fa nulla per cambiarlo. Nel mio piccolo Schengen ha contribuito molto a consolidare il brand Quolit in Europa: diversamente se avessimo dovuto confrontarci con dazi e cambi valutari saremmo stati notevolmente svantaggiati. Tutto questo non toglie che la globalizzazione fuori controllo (soprattutto del mercato del lavoro) abbia danneggiato numerosi aspetti della vita economica e sociale di tutti, ma questa ripeto non dovrebbe essere una scusa per “gettare via il bambino con l’acqua sporca”. Occorrono regole, visioni e progetti: elementi che solo la mia generazione, nata in questo contesto, cresciuta in un sistema dove puoi sentirti a casa ovunque nel mondo, può valorizzare appieno, evitando di cedere all’isteria di chi invece, prima di noi, ha già avuto tanto, non ha saputo gestire l’enorme patrimonio di ricchezze e conoscenze costruito dopo il secondo conflitto mondiale e pretende ancora di scegliere la via che sarà per i prossimi cinquanta anni.

Ogni fenomeno umano non è né positivo né negativo in maniera assoluta. E’ necessario osservare sempre la realtà con sguardo critico, aperto e completo. Ogni fenomeno quindi deve essere studiato e spiegato in relazione ad altre variabili. Ne consegue da ciò che liquidare la globalizzazione come l’origine di tutti i mali è sbagliato perché sbrigativo. C’è chi uccide in nome di Dio, Dio allora è cattivo e la religione è uno strumento di morte? Un ragionamento frettoloso e impreciso porterebbe a questa conclusione e non c’è niente di più sbagliato di una riflessione abbozzata e inconcludente. Questi sono i veri mali del mondo di oggi. Soprattutto quando provengono dal mondo politico.