Alla ricerca di un nuovo progetto di Globalizzazione…
La Globalizzazione è davvero una sfida infinita e complessa, anche per la mia generazione, la cosiddetta “generazione Erasmus” che ha goduto di un periodo di espansione economica e di rinascita culturale dopo la fine della Guerra fredda.
Certo, prima di Schengen, l’internazionalizzazione dei mercati, Facebook, Whatsapp, Skype e, appunto, il progetto Erasmus, globalizzazione è sempre esistita e malgrado le diverse sfaccettature è difficile descrivere un periodo storico nel quale i paesi europei non siano stati in qualche maniera legati da qualcosa.
Sebbene non sia facile sempre definire il “qualcosa” che leghi i paesi, la “nostra” globalizzazione ha, in qualche maniera inizio dopo anni di barriere quando l’euforia al seguito della caduta del muro di Berlino ha ispirato molti a credere che la storia fosse finita.
Malgrado tutto, però, terrorismo, crisi economica, delocalizzazione industriale, competizione fuori controllo hanno risvegliato ben presto il mondo dopo il 1989 e precipitato di conseguenza potenze come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti verso Brexit e Donald Trump: risposte protezionistiche, un po’ nostalgiche che chiudono le porte al problema piuttosto che affrontarlo ma che a loro modo certo non possono però essere delegittimate a priori.
Se il sogno di una globalizzazione funzionale a tutto e a tutti si è in effetto infranto e spezzato e se si è iniziato a consentire la circolazione di sentenze sbrigative come “ognuno a casa sua” un motivo, tutto sommato, c’è e non sempre è ispirato dalla fretta ma anche da osservazioni non più trascurabili.
Ma l’Euro, la globalizzazione, l’internazionalizzazione dei mercati sono processi irreversibili? Sembra di sì poiché se decidessimo di portare indietro le lancette dell’orologio dovremmo probabilmente sostenere un costo di energie, tempo e risorse talmente elevato da suggerirci prima o poi di investire nella salvaguardia e nel consolidamento di ciò che già abbiamo grazie ad una più precisa regolarizzazione del non ancora definito.
La costruzione, in altre parole, di un contesto internazionale dove poter operare liberamente senza troppi vincoli è un processo difficile e come ogni percorso comporta ostacoli e fallimenti. Fermare tutto ora significherebbe rinunciare a grandi possibilità per paura, esattamente come quella persona che si lamenta del contesto dove vive e non fa nulla per cambiarlo.
Certo, essere competitivi su un mercato più grande non è facile ma possiamo trascurare le sue opportunità senza nemmeno un tentativo?
Nel mio piccolo Schengen ha contribuito molto a consolidare il brand Quolit in Europa poiché se avessimo dovuto confrontarci con dazi e cambi valutari saremmo stati notevolmente svantaggiati. Tutto questo non toglie che le attuali dinamiche della globalizzazione (soprattutto in relazione al tema del mercato del lavoro) abbiano danneggiato numerosi aspetti della vita economica e sociale di tutti, ma questa osservazione, ripeto, non dovrebbe essere una scusa per “gettare via il bambino con l’acqua sporca”.
In altre parole: occorrono regole, visioni e progetti, elementi che solo la mia generazione, nata in questo contesto, cresciuta in un sistema dove puoi sentirti a casa ovunque nel mondo, può valorizzare appieno, evitando di cedere all’isteria di chi invece, prima di noi, ha già avuto tanto, non ha saputo gestire l’enorme patrimonio di ricchezze e conoscenze costruito dopo il secondo conflitto mondiale e tutt’ora pretende di scegliere ancora la via che sarà per i prossimi cinquanta anni.
Ogni fenomeno umano non è né positivo né negativo in maniera assoluta e data l’importanza di osservare sempre la realtà con sguardo critico, aperto e completo, ogni fenomeno si ritiene infine che debba essere studiato e spiegato in relazione ad altre variabili.
Possiamo affermare perciò che liquidare la globalizzazione in quanto tale come l’origine di tutti i mali è sbagliato perché sbrigativo? No, esattamente come non possiamo affermare che la religione è morte poiché qualcuno uccide in nome di Dio.
Un ragionamento frettoloso e impreciso porterebbe a questa conclusione e non c’è niente di più sbagliato di una riflessione abbozzata e inconcludente e questi ragionamenti rapidi, quasi ideologici, sono i veri mali del mondo di oggi soprattutto quando provengono dal mondo politico e ci impediscono di osservare le sfide che la complessità in sé comporta.