Cronaca di un fallimento annunciato
La nostra storia inizia nel 2013.
I tempi sono difficili: la “Seconda repubblica” sembra finita, Beppe Grillo cavalca l’indignazione di milioni di italiani e proponendo la democrazia diretta consente ad anonimi ragazzi come Luigi di Maio di candidarsi in Parlamento.
Attraverso le “Parlamentarie”, il protagonista di una riedizione delle peggiori edizioni della Democrazia Cristiana, ottiene 189 voti e siccome le liste sono bloccate e il Movimento 5 Stelle è in ascesa, bastano per essere eletto, di conseguenza, alla Camera dei deputati.
Nonostante l’indiscutibile trionfo, il Movimento fondato da Beppe Grillo non ha i numeri per formare un governo e siccome la prassi istituzionale vuole che la vicepresidenza di una delle due camere spetti all’opposizione, Luigi Di Maio convince con il suo bel visino tutti. Quasi, tutti.
Quando il Parlamento si insediò dopo le elezioni, avevo diciannove anni e nonostante la giovane età ricordo molto bene di non aver mai avuto fiducia in tutti coloro che avevano promesso di “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno”.
Col senno di poi, i miei avvertimenti circa l’inadeguatezza di una classe dirigente che dirigente non era si sono rivelati fondati ma, nonostante ciò, fatico comunque a ritenermi soddisfatto; (avrebbe potuto ritenersi soddisfatta Cassandra, dopotutto? Non credo proprio) …
Osservare pertanto il disfacimento del Movimento 5 Stelle da un lato mi rallegra, certo, ma pensare al fatto che il peggio del peggio di quell’esperimento possa continuare ad avere un futuro politico mi preoccupa.
“Absit iniuria verbis”: Luigi Di Maio sarà pure una brava persona ma ciò che la sua storia rappresenta mi delude e mi fa arrabbiare e no, non mi riferisco al suo passato da “bibitaro” perché, sarò sincero, i miei ragionamenti nulla hanno a che vedere con chi ha (giustamente) fatto lavori manuali e meno qualificati; il mio ragionamento concerne, infatti, le competenze specifiche e il “modus” con il quale è stata interpretata la politica.
In principio “ognuno vale(va) uno”, le alleanze erano cosa morta, “mai con il partito di Bibbiano”, poi si è ceduto ad un’alleanza con la Lega di Matteo Salvini, al Partito Democratico e infine, al governo Draghi.
In principio, bisognava dire “no” al “mercato delle vacche” ma poi, come se non bastasse, si è traslocato dal maxi-ministero del lavoro e dello sviluppo economico a quello degli esteri con una tranquillità sconcertante che ha perfettamente spiegato l’inutilità di ogni forma di competenza diretta.
Interrogarsi quindi sulla credibilità di chi in dieci anni abbia fatto continuamente giravolte, non penso sia offensivo ma legittimo.
Sì, qualcuno potrebbe tranquillamente rinfacciarmi una strategia voluta per raggiungere comunque degli scopi ma facilmente potrei chiedere: quali scopi?
Il Reddito di cittadinanza, forse? Una misura che avrebbe dovuto “abolire la povertà” ma poi nulla ha potuto contro il crescere della stessa nel biennio 2020-2021?
Non scherziamo.
In conclusione, discutere del futuro di Luigi Di Maio credo sia effettivamente ridicolo (soprattutto alla luce del fatto che “Insieme per il futuro” non è che un ennesimo diversivo), tuttavia ribadisco la convinzione per cui il successo di Luigi Di Maio sia un insulto a tutti quei ragazzi (laureati e non) che nonostante il duro lavoro, i sacrifici e gli studi non riescono a conquistare delle opportunità che la politica, in primis, nega loro, dimenticandoli.
A tal proposito, la maglietta indossata da Francesco Intraguglielmo in occasione degli esami di Maturità (“La scuola fa schifo”) non andrebbe dimenticata e dileggiata dall’alto di una morale che per prima, pur volendo preservare le Istituzioni, le offende.
Lo sfogo di Francesco Intraguglielmo è stato appunto uno sfogo che rappresenta molti giovani, i quali (giustamente), di fronte una scuola profondamente contradditoria si domandano che senso abbia, ancora, studiare tanto per poi accettare spesso e volentieri salari miseri e non adeguati.
Come già ribadito, la politica (e Luigi Di Maio non è esente da questo) dovrebbe fare autocritica oggi stesso e appendere al chiodo, definitivamente, ogni forma di retorica.