“The Danish girl”: quando la scienza voleva curare “gli invertiti”
A volte ritornano. Quasi all’improvviso. No, non sono i partner dimenticati, sono i film d’autore.
E così, quasi senza nessuna previsione, è ritornato sul piccolo schermo del mio soggiorno “The Danish girl”: un film drammatico, difficile e intenso.
Per chi non l’avesse mai visto, l’ultimo contributo del regista Tom Hooper racconta la storia d’amore tra Gerda Wegener e Lili Elbe, nato Einar Wegener, artista danese conosciuta anche per essere stata la prima persona ad aver subìto un intervento chirurgico di cambiamento del sesso nel 1930.
I temi trattati dalla pellicola (e dal romanzo sul quale la pellicola è basata, “La Danese”) sono numerosi.
“The Danish girl” non è infatti solo un racconto della complessità del fenomeno transgender, ma è anche una storia d’amore complicata dove autorealizzazione e sacrificio si scontrano violentemente…
A prescindere da tutto, a prescindere quindi da tutte quelle tematiche così intime che non mi sento di poter affrontare in questa sede (fino a prova contraria, resto un convinto sostenitore dell’autodeterminazione dell’individuo…), c’è un tema che ho potuto guardare cinicamente negli occhi solo dopo aver conosciuto i drammi di una pandemia: il potere della scienza, sorry: il potere della scienza quando cessa di essere scienza e giustifica qualcosa che non le appartiene…
Nel corso del film, non a caso, quando il protagonista comprende di vivere in un corpo che non gli appartiene decide di iniziare delle ricerche e, su consiglio della moglie Gerda, si affida (controvoglia) al parere degli esperti.
Il risultato è drammatico: i libri di medicina e tutti i dottori con cui si confronta concordano nel definire “patologico” il suo atteggiamento e a inquadrare di conseguenza la sua condizione nel catalogo dei disagi psichici.
Vero, la storia è ambientata alla fine del diciottesimo secolo ma è una storia vera e indipendentemente dalla contestualizzazione storica ci ricorda un fatto che non possiamo dimenticare: la scienza ha giudicato l’omosessualità e la volontà di cambiare sesso come devianze.
Una sorte simile è accaduta anche agli ebrei, i quali durante il nazismo, sono stati perseguitati sulla base di un’interpretazione scientifica che li ha giudicati inferiori agli ariani.
Cosa significa? Anzi, cosa ha significato? Qualcosa che, probabilmente, non abbiamo ancora imparato: giustificare delle scelte politiche (o economiche) sulla base di un dogmatismo scientifico può essere pericoloso.
Oggi, non penseremmo mai di giudicare gli omosessuali, i transgender e gli ebrei come dei malati, eppure non è passato molto tempo da quando la scienza si è prestata a fare qualcosa che non avrebbe dovuto fare…
La scienza, per sua natura, ha il compito di spiegare la realtà attraverso il metodo scientifico. Una teoria ritenuta valida oggi potrebbe essere smentita domani perché nuove scoperte e nuove tecnologie potrebbero metterci nella condizione di vedere cose che oggi non possiamo neppure immaginare…
Ragion per cui, credere fideisticamente in qualcosa che per sua definizione non accetta atti di fede, può avere senso?
La convinzione che omosessuali, transgender ed ebrei fossero malati non ha mai avuto fondamento empirico.
Quella convinzione, infatti, aveva origine da convinzioni sociali e politiche che la scienza ha tristemente cristallizzato dopo secoli…
Un errore necessario? Probabilmente. Ma se la storia ci insegna qualcosa, osservare e capire quanto drammatico sia stato strumentalizzare la ricerca per giustificare determinate opinioni, potrebbe aiutarci a ridare alla stessa un prestigio che merita non già perché ha sempre ragione, ma perché ha senso nell’umiltà che si ha di fronte alla complessità del creato.