Divergendo con Elon Musk

Con le parole “Troppi talenti vanno a lavorare nel settore finanziario o legale”, Elon Musk ha fatto di nuovo discutere. Se un anno fa, fumando marijuana in diretta durante la registrazione del podcast “The Joe Rogan Experience”, ha esternato infatti la sua eccentricità attraverso un gesto, questa volta si è affidato al potere delle parole per esprimere il suo disappunto nei confronti del presente.

Parlando a ruota libera di una serie di temi “caldi”, sempre in occasione della registrazione dello stesso podcast, il magnate non ha risparmiato appunto una nuova e ancor più dura critica contro un “over collocation” negli USA nel settore legale e finanziario, dove a suo avviso, l’eccessiva presenza di talenti produrrebbe un danno nei confronti di molti altri settori.

Da sempre Musk si pone come figura “fuori dal coro”, (ricordiamo ad esempio volentieri quando affermò che una laurea non sarebbe necessaria per avere successo nella vita e per fare grandi cose) e la crescente “divergenza” dello stesso non può che suscitare una domanda: da cosa ha origine l’opinione di Musk esattamente?

Da tempo, l’imprenditore sostiene in effetti  non solo che le università siano antiquate e che tramite internet sia possibile acquisire tutte le skill necessarie per crescere  ma che le stesse siano, sotto un certo punto di vista, inutili perché non garantiscono la possibilità di fare pratica sul campo.

Insomma, giusto o sbagliato che sia, Musk concretizza però le sue teorie in Tesla, azienda di punta del suo impero, dove non richiede la laurea ai candidati e dimostra a modo suo attenzione nei confronti dell’impegno diretto.

Di conseguenza, la questione in esame, (la quale si presenta complessa non poco), piuttosto che limitarci a una chiacchiera poco edificante, credo ci costringa di fronte una domanda non più prorogabile: quale destino ha un capitalismo in fase di involuzione? Un capitalismo, cioè, che da tempo tradisce i suoi paradigmi più autentici come la necessità di aprire il mercato all’innovazione?

La destinazione alternativa non deve necessariamente essere Tesla o vicina alle aziende di Musk ma perché in ogni parte dell’Occidente si impedisce ancora a milioni di giovani di essere alternativi e li si costringe, di fatto, ad omologarsi ad un sistema sempre meno dinamico?

Il meccanismo perverso che costringe le nuove generazioni ad uniformarsi ai criteri della grande

impresa uccide la vera imprenditorialità?

Dove sono la libera iniziativa, la fantasia, la manifestazione delle passioni individuali quando tutto viene già scritto a priori? Dov’è la scelta quando la volontà di esprimersi viene mortificata da un sistema vittima delle polarizzazioni tra grandi istituzioni private? Dov’è la scelta quando scuola e università, come osservato da Musk, non ti permettono di provare ma appunto ti indicano una strada solo apparentemente più semplice?

E se bastasse fare un passo al di fuori degli schemi per guardare la civiltà da lontano e per capire che ciò che crediamo di possedere alla fine ci possiede realmente?

Socrate diceva di non sapere niente, proprio perché, se non si sa niente si può problematizzare tutto e non è un caso che la filosofia nasca appunto dalla problematizzazione dell’ovvio, ossia da un assunto preciso: non si accetta quello che c’è perché, se si accettasse quello che c’è si diventerebbe gregge (come ha ricordato Platone).

Se fossimo dunque gregge o ingranaggi non più ben funzionanti perché abbiamo dimenticato di problematizzare le cose?

Non accettare, spesso, è origine di rivoluzione, cioè di cambiamento ma chi oggi non accetta?

Poche minoranze, spesso insignificanti e spesso disorganizzate possono davvero scrivere la storia?

E come possono essere realmente alternative se ciò che le circonda ha rinunciato ai benefici del dubbio ma ha accettato un divenire senza scopo?

Oltre le scuse, si può fare tutto, si può addirittura uscire dai meccanismi di un sistema stanco se si comprende esattamente il prezzo giacché oltre le parole, si può essere differenti certo, anche se la domanda “ne può valere veramente la pena?” rimane.

Insomma, quando il costo opportunità invita a spegnere tutto perché è più semplice, probabilmente i valori che ci hanno permesso di credere nel futuro nel Rinascimento o negli anni ’50 e ’60 del ventesimo secolo sono stati probabilmente dimenticati.

Non so cosa ci aspetti il prossimo mese ma so però, in conclusione, che il salto mentale che ci domanda il mondo è importante, così come le domande che ne derivano: possiamo consumare meno o perlomeno imparare a farlo in modo equilibrato? Possiamo investire non per avere una vita più comoda ma per equilibrare il nostro rapporto tra corpo, mente, società e natura?

Possiamo accettare che abbiamo il dovere di ripensare le nostre priorità e le regole di un capitalismo che ci ha costretti a vivere un inferno infestato dai demoni della fretta?