Daniel Craig tra 007, “Queer” e quella (snervante) necessità di usare stereotipi che poi si criticano

Sono perfettamente consapevole del fatto che sia inappropriato, (se non addirittura scorretto), recensire un film senza averlo visto e, di fatto, proprio come accadde quando uscì “Barbie” nel 2023, qui non recensirò “Queer”, (il nuovo film di Luca Guadagnino), ma la prosopopea ingrassata di retorica con la quale si è pensato bastasse de-costruire il maschio tossico.

In altre parole, qui di seguito non esprimerò il mio giudizio su un film ma sull’idea per cui Daniel Craig, il protagonista appunto di “Queer” e degli ultimi film dedicati a James Bond, sia stato l’artefice della decostruzione della mascolinità tossica della spia più famosa al mondo non solo in virtù della sua interpretazione nell’ultimo film di Luca Guadagnino ma anche grazie alla sua scelta di interpretare un James Bond “diverso”.

Ma “diverso da chi?” Da chi è diverso il James Bond interpretato da Daniel Craig? Egli ha davvero de-costruito un modello di mascolinità tossica?

Nel mio piccolo, ancora una volta, credo che si sia fatta molta confusione e non tanto per ignoranza ma con il preciso obiettivo di irrobustire una precisa propaganda a danno degli uomini (tossici e non).

Si badi bene, però, ciò che ho appena scritto, (ribadisco) nulla ha a che vedere con il film “Queer” ma con ciò che altri hanno detto del film per cui mi sia consentito fare un passo indietro e osservare, di conseguenza, qualcosa che in pochi osservano.

Cosa vuol dire, innanzitutto, “tossico”? Ad essere “tossici” sono solo gli uomini o la tossicità è qualcosa che prescinde dal sesso e condiziona “i popoli superflui” del XXI secolo?

Le relazioni tossiche celano delle vere e proprie dipendenze affettive e si basano su rapporti disfunzionali che ci tengono legati per troppo tempo a persone sbagliate; in parole diverse sono legami che anziché donare benessere, generano insoddisfazione e ansia e pensare che dipendano in modo esclusivo dagli uomini è sciocco così come è sciocco pensare che le donne al potere siano diverse (Giorgia Meloni, Ursula Von Der Leyen e Christine Lagarde nelle loro decisioni sono condizionate dagli stessi vincoli a cui sarebbero condizionati degli omologhi di sesso maschile).

Se quindi la tossicità prescinde dal sesso e riguarda l’individuo ritenuto “superfluo” in una dimensione in cui è svuotato del suo ruolo e ridotto a mero “prosumer” di beni, servizi e dati il tema delle tossicità che condiziona purtroppo alcune relazioni riguarda il rapporto tra noi e il potere.

Certo, la tossicità che definisce quelle relazioni prive di spessore che naufragano a causa dell’incapacità delle parti di assumersi delle responsabilità viene esternata in maniera diversa dagli uomini e dalle donne ma sebbene nelle donne questa forma di tossicità non si evinca in seguito a un atteggiamento violento non è possibile credere che non esistano altresì forme di violenza psicologica da parte di alcune donne.

Posto dunque che la tossicità non è propria solo del maschio (etero, bianco cis e Dio solo sa cos’altro), non resta che tentare di capire perché Daniel Craig (non) abbia de-costruito più di tanto.

Quando Daniel Craig accetta di interpretare James Bond, egli non decostruisce un bel niente ma più semplicemente continua un tradizione in parte inaugurata da Pierce Brosnan (in parte) che avvicina il personaggio cinematografico al personaggio letterario.

La mortificazione dei genitali da parte di Le Chiffre nella terribile scena del film “Casino Royale” non se la inventano infatti Daniel Craig o Martin Campbell, il regista, ma Ian Fleming che nel romanzo omonimo (pubblicato nel 1953) descrive una tortura simile ma praticata con un battipanni.

Ed è proprio di Ian Fleming che bisogna discutere se vogliamo capire il vero James Bond perché Ian Fleming ci racconta senz’altro un uomo che ha problemi di relazione con le donne ma un uomo che vive al limite a causa del suo lavoro e che sa ogni momento potrebbe essere l’ultimo.

Non diversamente, la stessa tossicità (certo evidente) che il personaggio di James Bond dimostra in ogni approccio con il genere femminile è una causa delle sue difficoltà; certo, non una giustificazione ma una spiegazione evidente che non dipende dalla volontà di rappresentare un mero “Don Giovanni” che non ha paura di niente ma un personaggio di fatto fragile, disturbato e problematico.

Se quindi la stessa figura di Don Giovanni appena citata merita una spiegazione ben più approfondita di ciò che esso realmente rappresenta, bisogna ricordare in questa sede che non è un caso che le migliori relazioni di James Bond abbiano un esito drammatico, (vuoi direttamente o vuoi indirettamente a causa della vita sciagurata che egli conduce).

Insomma, James Bond è certo un uomo tossico per le donne della sua vita ma lui non vuole essere questo: lui è una vittima della Guerra fredda e quel ragionamento critico che Daniel Craig si ritiene abbia valorizzato è un ragionamento prima di tutto complesso.

In conclusione, la stessa convinzione che l’uccisione di James Bond sia l’uccisione del maschio non tiene conto di cosa sia stata la relazione tra il film “No time to die” e il romanzo “Si vive solo due volte”, un romanzo definitivo per Ian Fleming che pretende di scrivere la parola “fine” in calce alla carriera di James Bond, in Giappone, proprio perché ha pietà della sofferenza che si trascina dietro.

Ugualmente, pensare che i personaggi strambi, “non conformi” scelti da Daniel Craig dopo James Bond siano in automatico queer mi costringe a domandarmi una cosa ben precisa: è mai possibile che nel 2025 i “non conformi” siano tutti queer?

Cioè, è mai possibile che nel 2025 non si riesca a immaginare che oltre ai maschi veramente tossici non ci siano solo gli omosessuali ma anche tanti maschi che vivono la propria eterosessualità con serenità e senza bisogno di esternare nulla perché ci siamo dimenticati che il sesso è una cosa privata?

La pretesa di non usare etichette per descrivere le relazioni come può a questo punto giustificarsi con l’ossessivo e paradossale uso di nuove etichette per descrivere gli uomini in un modo sempre uguale? (D’altronde, cosa vuol dire essere “conforme”? Si è conforme in relazione a qualcosa per cui se siamo tutti uguali di fronte alla legge e abbiamo gli stessi diritti chi stabilisce chi è conforme e chi non lo è? E perché chi critica l’uso del termine in oggetto lo usa poi per dissociarsi e usarlo in maniera paradossale per definire chi non è eterosessuale?).

E’ certamente vero che la maggior parte degli uomini non sia un modello di serietà ma la sporca generalizzazione che tutt’ora pretende di usare stereotipi di genere anche per tutti i maschi eterosessuali non solo è offensiva per chi ha sempre promosso i valori del rispetto per sé stesso e per il prossimo ma inutile alla causa di chi vuole combattere un potere che usa non per errore le etichette per dividerci e infine creare schemi definibili, riconoscibili e “pacchetti zip” di dati da smerciare.