Lezioni americane

Di Donald Trump, Joe Biden, Kamala Harris e più in generale delle ultime elezioni negli Stati Uniti d’America è stato detto tutto e il contrario di tutto (o quasi).

Dei protagonisti della politica interna statunitense si è effettivamente parlato tanto recentemente ma spesso e volentieri male e nell’ignoranza di un fatto: malgrado si sia detto, appunto, tutto e il contrario di tutto si è dimenticato di riconoscere proprio che è stato detto tutto e il contrario di tutto.

A prescindere però dal solo apparente rilievo tautologico della dichiarazione di cui sopra, occorre riconoscere perciò un aspetto dell’attuale dibattito politico (non solo statunitense) in via preliminare prima che sia troppo tardi: ogni valutazione è stata ormai prestata a un fanatismo becero e pericoloso.

In effetti, quando un argomento comincia a volare veloce di bocca in bocca viene automaticamente condannato alla neutralizzazione e questo non già dovuto ad un processo “naturale” bensì a un processo preciso ben osservabile.

Nello specifico, il processo in esame ha inizio con un accumulo di disinformazione e di opinioni in contrasto tra di loro; quindi, con il consolidamento nella mente dell’osservatore (discretamente interessato) di un’opinione indefinita dove tutto si mescola e dove tutto si equivale.

In altre parole, il processo di cui purtroppo siamo tutti vittima e che condiziona inevitabilmente le nostre valutazioni è un processo che prevede lo spostamento dell’attenzione (e della simpatia) dall’argomento alla fazione che lo sostiene.

Non per errore, temo, si può perciò riconoscere che quel residuo che precipita perciò dal setaccio non sia capace di dare i suoi frutti poiché condannato a passare in automatico sotto il vaglio di un pensiero edulcorato e definibile che con il rastrello degli “ismi” (negazionismo, revisionismo, complottismo…) e la leva dello stigma sociale si impegna a fare piazza pulita.

Quando noti autori scrivono che i social hanno ucciso la democrazia, in un certo qual modo, non sbagliano ma dimenticano che la democrazia non è un fatto semplice e scontato, né un presupposto capace di rispondere in modo esclusivo ad una visione univoca della realtà.

Ne consegue perciò che, sebbene i social abbiano effettivamente contributo non poco a perfezionare un bombardamento costante di informazioni a danno dei cittadini, non è possibile ridimensionare il fenomeno solo perché ha vinto Donald Trump e i democratici hanno perso.

La complessità, infatti, della questione social è una complessità i cui difetti e i cui relativi deterioramenti riguardano anche una parte del campo, ossia quella che pretende di usare il setaccio già citato e la leva dello stigma sociale a sua volta già citata.

In parole diverse, la disinformazione non è veicolata esclusivamente oggigiorno da chi pretende di essere indipendente ma anche da chi pretende di essere un “professionista dell’informazione” ma non riesce proprio a fare a meno di un presupposto ideologico ispirato spesso da un ragionevole tasso di profitto.

Alla fine del processo, cosa resta dunque della questione iniziale? Nulla e ciò si evince infine dal fatto che le questioni, in realtà, non si pretende di discuterle ma piuttosto di dimenticarle.

Certo, i progressisti americani hanno commesso nuovamente l’errore di rispondere a problemi concreti con risposte estetiche e ai confini del glamour ma ciò non basta per spiegare Donald Trump poiché lui non è semplicemente la risposta ad un voto di protesta ma un fenomeno ben più complesso.

Insomma, il terreno fertile in cui la disinformazione sembra proliferare non riguarda solo Donald Trump ma, come abbiamo visto, anche chi ancora pretende che tutto si possa ridurre al tifo da stadio e non a caso, infatti, continuare a pensare che la retorica inclusiva e buonista dei più sia una soluzione effettiva non condanna i repubblicani o le destre ma le buone intenzioni e contribuisce “de facto” ad acuire differenze sociali già troppe evidenti.

Gli scenari apocalittici che erano stati annunciati, in conclusione, dopo la vittoria di Donald Trump nel 2016 non si sono verificati e probabilmente quegli scenari non avranno luogo nemmeno nel futuro prossimo.

Per ora, riconoscere però che il trionfo della grossolanità sulla raffinatezza insensibile e anche un po’ ipocrita non è solo una vittoria di facciata quanto una prova dei tempi che corrono, penso dovrebbe ispirarci una valutazione complessa; una valutazione complessa che si può esprimere nel modo seguente: affrontare il tema delle elezioni statunitensi comporta una conoscenza dettagliata di molteplici problematicità e una sfida non di poco conto che riguarda anche e soprattutto il ruolo di Elon Musk e delle sfide tecnologiche da lui proposte (visto che queste prevedono una consapevolezza finora non pervenuta).