Cosa deve insegnare la Scuola se la Tecnologia scrive la Storia ogni ora?

Sono ogni giorno sempre più convinto dell’inadeguatezza delle strutture scolastiche (e universitarie) italiane: incapaci di innovare, incapaci di avere una visione internazionale (global oserei) e quindi competitiva.

Può esistere un’alternativa capace di affrontare però strategie del passato che generano insuccessi?

La direzione globale di realtà ormai stanche e poco dinamiche non accenna purtroppo a cambiare in nessuna direzione e rispondere ad interrogativi già noti è purtroppo problematico.

Perché? La trasformazione digitale sta cambiando il mondo (e il mondo del lavoro) con cicli di 3-5 anni. Ma proviamo a guardarci per un attimo indietro…

I numeri del Rapporto annuale 2017 dell’ISTAT parlano chiaro: l’Italia è il Paese più vecchio d’Europa, detiene il record con la maggior presenza di NEET (giovani scoraggiati che non studiano e che non cercano lavoro) e con una crescita economica al di sotto del periodo

pre-crisi.

Solo nel 2016 i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano sono stati il 24,3%, (2,2 milioni di persone), in Europa il valore medio è del 14,2%.

Tra le varie responsabilità di una situazione così stagnante c’è anche il problema della formazione, che non riesce più a stare al passo coi tempi che cambiano perché cambiano sì le esigenze del mercato del lavoro ma non le competenze.

Secondo uno studio del World Economic Forum il 65% dei bambini che oggi sono alla scuola elementare “da grande” farà un lavoro che oggi non esiste nemmeno e questo è a dir poco inquietante.

Questi tempi di cambiamenti ci presentano una sfida che possiamo vincere solo innovando ma innovando concretamente e con coscienza perché non si può essere competitivo oggi se ciò che si studia probabilmente non sarà richiesto tra pochi anni.

La capacità di adattamento può darci una risposta, certo, perché un cambiamento repentino delle esigenze delle aziende può essere soddisfatto solo grazie ad un’educazione improntata al sacrificio e alla capacità di adattamento ma la stessa capacità di adattamento non può essere senza dubbio incondizionata.

Si insegni questo allora e si insegni alle future generazioni  come mettersi in gioco reinventandosi e difendendo allo stesso momento ciò che sono.

Mettiamola così: la tecnologia è un mezzo, non il fine e, nello specifico, è un mezzo per creare costantemente.

In un contesto in cui il cambiamento è all’ordine del giorno la cosa più importante quindi su cui lavorare è la persona ecco perché occorre concentrarsi allora su un progetto dedicato allo sviluppo nelle persone di attitudini sempre nuove sin dall’infanzia come ha recentemente sostenuto anche Massimo Ventimiglia, CEO di H-FARM Education.