Perché non bisogna delegittimare l’astensionismo
Le elezioni per il Parlamento europeo, non diversamente dalla lotta al Covid e dalle guerre in Ucraina e a Gaza sono state fin qui vissute nel peggiore dei modi in Italia: come un derby tra la fazione degli europeisti “buoni” e quella dei sovranisti “cattivi”.
La triste contrapposizione manichea alla quale come ricordato siamo purtroppo già stati abituati, non è probabilmente però solo un’evidente contraddizione dei più autentici princìpi democratici che pretendiamo di ispirare ma anche una questione politica che meriterebbe ben più interesse di quanto si pensi.
A prescindere dal chiacchiericcio che a breve ricorderemo, la patetica retorica che ha recentemente preteso di dividere nuovamente gli elettori non solo ha in effetti contraddetto quei presupposti di ragionevolezza e inclusione che pretendiamo determinino un contesto democratico capace di premiare il confronto ma ha altresì messo a nudo una verità che non è possibile trascurare: più guardi le contraddizioni dei “buoni” e più ti domandi cosa potrebbero mai combinare di peggio i “cattivi”.
Esistono questioni di rilevanza fondamentale le quali, a prescindere dalle convinzioni, né possono essere messe in discussione in termini assoluti né quantomeno criticate con cognizione di causa e questo dato di fatto comporta un appiattimento del dibattito pubblico che per ragioni inevitabili trova sfogo, appunto, in divisioni aprioristiche, sterili e di facciata.
Se discutere con ragionevolezza di tematiche come il problema democratico nelle Istituzioni europee, la moneta unica, il patto di stabilità e l’invio delle armi in Ucraina non è possibile e criticare anche solo in alcuni aspetti le scelte politiche che sostengono l’Unione europea così com’è e la NATO significa rischiare un’etichetta che senso hanno gli attuali partiti?
Se è vero che le politiche economiche, energetiche e militari dipendono anche e soprattutto da interessi di parte (non eletti) che hanno un peso politico non del tutto trasparente come dimostrato nei giorni in cui si acquistavano i vaccini “contro” il Covid, quale ruolo effettivo hanno i politici? Politici spesso inadeguati, incompetenti o scelti come nel caso del Generale Vannacci e di Ilaria Salis per solleticare le pance degli elettori più affezionati al tribalismo?
Tolte le differenze di facciata studiate ad hoc, le grandi tematiche vedono in effetti convergere i partiti su punti imprescindibili e questo non solo comporta una riflessione sul senso di una politica che ha bisogno di esprimersi anche nei giorni in cui non si vota ma anche a proposito del futuro dell’Europa.
Se i rappresentanti dell’Unione europea si vedono di fatto d’accordo nel ritenere necessario il contrasto alla Russia, oggi, si possono definire abbastanza sicuri di sapere che cosa questo comporti? In altre parole: se i rappresentanti dell’Unione europea sono tutti d’accordo nel ritenere opportuna una guerra contro una potenza atomica è ugualmente possibile ritenerli consapevoli del significato storico che essa ha? A giudicare dal metodo con cui si discute la realtà non è difficile rispondere “no”.
In ogni caso, sebbene non pretenda oggi di rispondere a domande che meriterebbero un approfondimento comunque ben più importante, ritengo però necessario ribadire che le fallacie cognitive pensate per dividere anche in occasione delle elezioni europee gli elettori si sono rivelate essere pessime (soprattutto perché esse, appunto, spiegano un pensiero non lucido).
La scelta di non votare non può in conclusione essere ritenuta una scelta ispirata dal disinteresse a prescindere e non già perché chi vota non sempre si interessa di politica ma anche perché (ad ogni modo) il voto può trovare espressione anche nel suo (non) esercizio: di fatto, vale la pena ricordare che l’astensionismo è un fenomeno complesso e che essendo tale non può essere facilmente liquidato.
La discussione ampia (e spesso poco accurata) sul significato dell’astensione comporta una spiegazione infatti fin qui poco motivata ma che prescinde un dibattito che come abbiamo visto pretende di incasellare la popolazione attiva in determinate categorie; non a caso, forse, l’astensione rappresenta un disagio che ignorarlo o, peggio, delegittimarlo con un trucco psicologico che pretende di differenziare i “bambini bravi” dai “bambini cattivi” potrebbe minacciare ulteriormente il senso di una democrazia già contradditoria (la quale non merita di certo una deriva paternalista e confliggente con i valori liberali degni della società in cui pretendiamo di vivere).
In parole diverse: il momento del voto è importante e scegliere di esercitare il proprio diritto in modo attivo, in occasione appunto delle elezioni europee oggi o politiche domani, non significa però essere migliori di qualcuno che non vota poiché la pretesa di attribuire patenti a cittadini di “serie a” e “serie b” è una pretesa tipica di chi a suo tempo non avrebbe disprezzato il sistema del credito sociale come in Cina…