Oppenheimer: distruttore di mondi o vittima della sua stessa “hybris”?
Non appena ho terminato di vedere “Oppenheimer”, una ragazza seduta poco lontano da me mi ha costretto a confrontarmi con un’opinione che avevo già avuto modo di conoscere, un’opinione di per sé interessante ma che tuttavia viene spesso portata avanti con il preciso scopo di condannare senza appello Robert J. Oppenheimer: “il padre della bomba atomica” avrebbe dovuto sapere cosa avrebbe fatto Washington della “sua” creazione.
Ora, dal momento che la storia è un insieme di fenomeni complessi che non si può ridurre ad un mero conflitto tra bene e male, non credo sia possibile dimenticare che, quando ha inizio il Progetto Manhattan, (il progetto che dirige appunto Oppenheimer con lo scopo di creare una nuova bomba) la possibilità che i nazisti sviluppassero per primi una nuova arma era concreta.
Di conseguenza, sebbene non si possa fare la storia con i sé, se la Germania avesse vinto la corsa all’atomica, il mondo non sarebbe tuttavia molto diverso, forse, da quello immaginato dai creatori della serie televisiva “L’uomo dell’alto castello”, in cui, non a caso, i nazisti vincono la Seconda guerra mondiale dopo aver bombardato Washington con un ordigno atomico.
In ogni caso, considerare il fatto che la ricerca in Germania fosse più avanti rispetto a quella negli Stati Uniti d’America non è un tentativo di discolpare Robert J. Oppenheimer, bensì un (piccolo) passo necessario verso una più ampia comprensione del “padre della bomba atomica” e del film, “Oppenheimer”, appunto.
Robert J. Oppenheimer è perciò una figura storica complessa che non è possibile comprendere senza un’adeguata analisi del contesto storico di riferimento che Christopher Nolan propone, forse talvolta con eccessiva puntualità, raccontando non solo gli anni che precedono il 1945 ma anche gli anni successivi, gli anni, cioè, in cui ha luogo uno scontro politico che continua ad avere come protagonista il responsabile del Progetto Manhattan.
Vero, come in parte accennato il percorso storiografico proposto dal regista di “Tenet” è, a tratti, difficile da seguire perché si alternano momenti storici diversi ma nel complesso, le tematiche proposte sono affrontate con serietà e il criterio che si pretende funga da chiave di volta per l’intera opera è coerente.
In altre parole, “Oppenheimer” è un film diverso da ciò che è stato, è un punto di arrivo e, forse, un punto da cui si ripartirà. “Oppenheimer”, però, è altresì un film visivamente prorompente, una prova nella quale si confermano attori come Cillian Murphy, Matt Damon e Gary Oldman e nella quale si scoprono invece in ruoli nuovi Emily Blunt e Robert Downey Jr., un mito moderno che condivide non con poco con Prometeo e, in un’ultima analisi, “Oppenheimer” è il racconto di un uomo brillante che subisce la storia, dinamiche ben più dirompenti del suo genio e che, in un certo senso, partecipano alla costruzione della realtà come ciò che ha luogo negli spazi subatomici partecipa a dare un senso (?) alla materia e all’energia.
Come un moderno Prometeo, in conclusione, Robert J. Oppenheimer subisce quindi la sua “hybris” e quando tutto ha fine, di fronte allo stagno in cui indugia Albert Einstein non resta alle nostre spalle, in un punto indefinito del passato, il semplice ricordo di un “bel film” ma il ricordo di un film che trascende concetti come “bene” e “male”, si colloca dove cominciano i paradossi della meccanica quantistica e ci ammonisce sul ruolo e sul significato che ha avuto e che continua ad avere la bomba atomica.
Insomma, l’ultima fatica di Christopher Nolan ha la capacità di mettere di nuovo al centro della discussione una serie di dubbi: era meglio che la bomba atomica restasse nell’alveo della teoria? Era possibile evitare di giungere alla messa in atto di un’arma così potente? E infine: le armi atomiche sono state effettivamente un deterrente che ha scongiurato il procedere di ulteriori conflitti mondiali dopo il 1945 o un punto di non ritorno verso una catastrofe?