A proposito di alluvioni…
A pochi chilometri da casa mia, migliaia di persone hanno perduto la casa in seguito all’esondazione di ben 21 corsi d’acqua.
I fatti che hanno avuto luogo nelle ore successive al fenomeno in esame non hanno purtroppo smentito la peggiore qualità della mia epoca e nonostante i tanto decantati progressi scientifici degli ultimi secoli, la maggior parte degli esseri umani coinvolti ha agito esattamente come avrebbe agito un essere umano dell’antichità: incolpando un responsabile in maniera istintiva.
È certamente vero che di fronte al dramma tutti (o quasi) reagiamo in maniera precipitosa e permettiamo di conseguenza alle nostre peggiori emozioni di “esondare”, (non a caso), ma non essendo la prima volta che il nostro presente conosce un’alluvione, considero oltremodo imbarazzante la sterile polemica seguita.
Come un uomo costretto ad affrontare le avversità della natura senza i mezzi acquisiti grazie al metodo scientifico, anche l’uomo post-post non si sa bene cosa ha incolpato gli istrici e le nutrie perché hanno distrutto gli argini dei fiumi, poi la geoingegneria, quindi il Fato; infine ha gioito nel cantare “Romagna mia”, ha sbandierato immagini romantiche risalenti ad un alluvione già dimenticata e archiviando tutto come una conseguenza dell’ira del Dio “cambiamento climatico” ha fatto in conclusione “mea culpa” e ridotto se stesso ad un umile servo. Ancora una volta.
L’entusiasmo e la straordinaria determinazione di chi, in queste ore, ha scelto di aiutare il prossimo con azioni concrete è da ammirare e sarebbe bellissimo vedere tutta questa grinta trovare un senso nel superamento delle divisioni e nell’unione di fronte ai comuni e al palazzo della regione dove, qualcuno, prima o poi dovrà rispondere.
Come già anticipato, tentare di trovare a tutti i costi un capro espiatorio è sbagliato. Non ci sono dubbi. Ma, un uomo non può ridursi ad essere un “umile servo” incapace di farsi domande ed è quindi giusto che il “cambiamento climatico” non diventi una scusa per nascondere delle responsabilità.
Non si può pretendere di tutelare l’ambiente un giorno e di cercare nelle nutrie e negli istrici dei responsabili: è contradditorio. Allo stesso modo, è contradditorio pretendere di tutelare l’ambiente con frasi ad effetto e poi ignorare come si usano i pesticidi nei campi (soprattutto dell’Emilia-Romagna). Infine, è contradditorio pretendere di tutelare l’ambiente pensando che basti sporcare le città e dimenticare che l’Emilia-Romagna tra il 2020 e il 2021 stata la terza regione italiana per consumo di suolo con più di 258 ettari cementificati in un solo anno.
Ora, che l’uomo abbia un impatto devastante sull’ambiente è evidente ma il tema della difesa dello stesso non può restare un utile bandiera da sfruttare a piacimento: deve essere piuttosto considerato con una serietà che le autorità politiche non sembrano valutare.
In seguito ad una breve ma significativa analisi storica, prescindendo dal “moloch” onnipresente del cambiamento climatico si evince che i comuni coinvolti fanno parte di una zona nota come “pianura alluvionale”: una zona ai piedi degli Appennini dove in caso di esondazione di fiumi, torrenti e rii questi non scaricano in mare ma in pianura (proprio come accaduto nei giorni appena trascorsi).
Storicamente, eventi simili si sono presentati in effetti ciclicamente e il primo grande episodio che la storia ricorda ha avuto luogo nell’ 88 a.C. quando nell’allora Bononia il Reno è esondato ripetutamente.
Non ho intenzione di ricordare qui nel dettaglio ogni singolo episodio storico in cui si ricorda un alluvione in Emilia-Romagna ma mi limiterò a ricordare che il Reno ha cambiato rotta ben cinque volte, nell’ottavo secolo è crollato un ponte romano a causa della scarsa manutenzione dopo un alluvione, il 22 agosto del 1896 il Reno ha invaso la bassa Bolognese e Ferrara e che il 26 agosto dello stesso anno il “Resto del Carlino” ha accusato le autorità di non aver investito i soldi stanziati in bilancio per la manutenzione.
In poche parole: la realtà delle alluvioni ci riguarda da sempre, riguarda il nostro rapporto con il territorio e chi di dovere dovrebbe quindi ricordare che sappiamo quanto sia importante pulire i corsi d’acqua da ancora prima dell’era dei Lumi, (non a caso, l’alluvione già citata che ebbe luogo nell’ottavo secolo si verificò probabilmente perché in seguito alla caduta dell’Impero Romano d’occidente nessuna autorità amministrativa aveva avuto modo di sostituire la precedente).
La storia della nostra specie ha una qualche direzione? Rispondere è difficile ma la consapevolezza del nostro posto e dei rischi che esso stesso comporta dovrebbe guidarci nel decidere soluzioni sempre migliori.
Forse, non potremmo mai evitare il cosiddetto “rischio zero” (come qualche “televirologo” a suo tempo sperava) ma prima della retorica e prima della fuga dalla realtà esiste la politica e questa, adesso, qualcosa dovrebbe fare.
La storia ci dimostra ancora una volta che la politica può e che nel 1805, ad esempio, Napoleone Bonaparte approvò dopo una visita a Bologna la creazione di un canale scolmatore pensato per smistare le acque del Reno in eccesso nel Po.
I lavori di scavo per questo canale, (detto Cavo Napoleonico), iniziarono nel 1808, furono interrotti nel 1814, (in concomitanza con la caduta dell’imperatore) ma furono poi ripresi più di un secolo dopo, nel 1954, in seguito alle devastanti esondazioni di Gallo di Poggio Renatico avvenute tra il 1949 ed il 1951 per cui, quando la politica trova nuovamente senso, trova un motivo per definire concretamente il suo ruolo.
Domandarsi adesso come mai gli 8 miliardi di fondi stanziati tra il PNRR e “Italia sicura” non partono in seguito alla sentenza della Corte dei conti che ha espresso dubbi sulla progettualità penso sia sensato e penso sia un interrogativo interessante utile soprattutto in relazione al PNRR, appunto, e alla capacità della nostre amministrazioni territoriali di saper usare i finanziamenti.
Allo stesso modo, penso sia sensato domandarsi perché l’amministrazione Bonaccini non sia stata capace di spendere ben 55 milioni nei tempi prestabiliti e abbia dunque pensato di restituirli.
Sì, ogni domanda nelle direzioni appena descritte non vuole essere una domanda accusatoria, è naturale, (la Regione ha spiegato che i 55 milioni restituiti erano destinati alla navigabilità interna) ma una volta esaurite le chiacchiere strappalacrime a proposito della “resilienza di un territorio”, ci mettiamo a fare un’analisi degna della civiltà seria che pretendiamo di essere o aspettiamo la prossima esondazione?
Esiste un evidente “cortocircuito” tra i diversi livelli amministrativi, è evidente e a prescindere perciò dall’effettivo scopo dei 55 milioni restituiti, sul tavolo resta (insieme ai 55 milioni) una questione: si può fare di più dal momento che sappiamo quali sono i rischi?