Il paradigma è sbagliato!
Per due anni è stato ripetuto con veemenza un imperativo categorico che la scuola ha fatto suo da quarant’anni ormai: non bisogna avere un’opinione personale.
Per due anni, in altre parole, non è stato possibile avere nessuna opinione a proposito di restrizioni e qualunque tentativo di cominciare un discorso complesso e non ovvio è stato puntualmente stroncato con le seguenti parole: “Ma sei un medico?”.
Per due anni, quindi, è stato chiesto di fidarsi degli “esperti” e, naturalmente, della scienza ma la scienza non è una religione e in quanto tale non prevede un atto di fede.
Tanto per cominciare, la necessità di dover affrontare una crisi non contempla la rinuncia assoluta di alcuni diritti: chi festeggia il 25 aprile dovrebbe infatti sapere che la Costituzione della Repubblica italiana è fondata, non già sul lavoro, ma sul bilanciamento di alcuni diritti fondamentali.
Il bilanciamento appena ricordato non è un’invenzione dei “complottisti”, si badi bene, ma del costituzionalismo moderno: in parole povere, se un diritto prevalesse su un altro esisterebbe una rigida gerarchia di diritti e, di conseguenza, il potere politico potrebbe abusare di un diritto per limitarne un altro (a discapito magari di una particolare fascia della popolazione).
Non è naturalmente semplice tutelare il bilanciamento ma dal momento che viviamo in un paese formalmente democratico, politici e giuristi non dovrebbero trascorrere le loro giornate a farsi fotografie o ad organizzare convegni in cui si gareggia citando precedenti giurisprudenziali ma dovrebbero bensì impegnarsi costantemente per evitare appunto la negazione di un diritto a vantaggio di un altro.
Non essere un medico o comunque un professionista sanitario non esclude la possibilità di poter avere un’opinione su un argomento e di poterla affrontare; Roberto Burioni e Matteo Bassetti, a contraris, sono teoricamente due medici ma a giudicare dalle loro opinioni io, soggetto non vaccinato contro il Covid-19, sarei già dovuto morire.
La verità è che la scienza non è una religione, non contempla atti di fede, ci sono regole (specie quando si discute di fisica o di chimica) certe e indiscutibili ma ci sono situazioni non vere in termini assoluti per tutti e un farmaco, ad esempio, il cui effetto può essere positivo su un paziente non è sicuro abbia gli stessi effetti positivi su un altro paziente.
La scienza, inoltre, non contempla atti di presunzione perché in seguito ad un’attenta analisi dei fatti, ogni scoperta ci costringe ad una nuova ricerca; come se non bastasse non è nemmeno vero il dogma “la scienza non è democratica” perché non si può pretendere di spiegare la tecnica con un istituto sociale e giuridico (soprattutto perché, a pensarci bene, un metro è un metro perché è stato stabilito nel corso di un convegno (la Convenzione del Metro del 1875).
Anyway, della scienza non ci si può “fidare”: la scienza non si organizza intorno ad una Chiesa. La scienza deve spiegare, la scienza, (come nel caso dei vaccini) se è tale, non ha bisogno di propaganda e ricatti ma di informazione e, non da ultimo, essa per definizione comporta analisi e confronto. Di conseguenza, checché ne dicano Roberto Burioni e Matteo Bassetti, (i quali sono stati ampiamente smentiti ogni giorno, non a caso), la scienza si mette in discussione e di fronte ad un vaccino non si accetta lo stesso come “un miracolo” ma come uno strumento complesso che non è detto che possa essere utile per tutti.
Non si terrà conto in questa sede del fatto che la statistica ha ampiamente dimostrato quanto sia stato inutile per i giovani il vaccino anti Covid-19 né si terrà conto dei limiti oltrepassati per costringere, de facto, la popolazione a compiere un atto; infine, non si terrà conto del fatto che sì, anche dal momento che anche la scienza può sbagliare (come accaduto con il caso Astrazeneca) essa è tutto tranne che un’opera di Dio.
Per cui, in questa sede, proseguiremo ponendoci una domanda: perché bisognava ascoltare “gli esperti” quando si discuteva di vaccini ma quando si discute di Ucraina, gli storici devono tacere?
Il caso Ucraina, come il caso dei vaccini, è un caso complesso che dovrebbe essere approfondito dopo giornate intere di studio; eppure, a cosa si riduce il dibattito pubblico quando il presidente dell’Ucraina viene a Roma? Alla banalità, all’estetica e alla semplice idea che ci sia un “invasore” e un paese “invaso” ma che dimentica tuttavia la storia, appunto, le sofferenze delle repubbliche del Donbass, le criticità endemiche dell’Ucraina che abbiamo dimenticato non essere un esempio di democrazia, il battaglione Azov e Stepan Bandera.
Perché, dunque, solo i virologi potevano parlare di vaccini ma di storia possono parlare tutti?
Esiste forse una qualche direzione che nella divisione costante tra bande (si vax contro no vax, putiniani contro ucraini) trova giovamento? La risposta è sì ed essa si trova nella storia: in un costante e imperturbabile percorso dove il potere ha sempre trovato ragion d’essere nel dividere le masse.
Come accennato, bisognerebbe restare giornate intere chini sui libri per capire che il mondo non si riduce ad una lotta esclusiva in chiave escatologica tra il bene e il male, tra le forze di Dio e quelle di Satana perché la natura umana è più complessa, gli Stati Uniti d’America sono contradditori e noi europei, a nostra volta, non siamo da meno quando parliamo di “democrazia” ma poi pretendiamo di non affrontare il tema del delicato rapporto tra politica e finanza.
Prima dell’intervento russo in Ucraina, l’Ucraina non era considerata un esempio di trasparenza (tanto è vero che la sua adesione all’Unione europea era proprio rallentata da ragioni fattuali); ma a prescindere da ciò che accadeva (o non accadeva) nei territori dell’ex Unione sovietica, dimenticare quale sia il reale ruolo della politica in Italia e nei principali paesi occidentali sarebbe sciocco.
Esiste tutt’ora una effettiva coincidenza tra le scelte degli elettori e l’azione dei legislatori? Chi decide davvero? Roma o Bruxelles? E per quale motivo il Parlamento europeo potrebbe sfiduciare la Commissione solo in seguito ad un’operazione considerata dai principali testi di diritto dell’Unione europea talmente difficile da rendersi, di conseguenza impossibile?
La vera questione intorno al quale credo, comunque, si esprima il dissenso che in paesi come la Francia si rivela essere sempre più crescente è che, probabilmente, il cittadino non si sente più tale ma piuttosto suddito di un sistema che non risponde ai suoi dubbi e che trascura inevitabilmente le sue volontà.
Perché delegittimiamo chi si domanda come mai “non ci sono soldi” per la sanità e l’istruzione ma per comprare armamenti sì?
Perché riteniamo che la domanda appena proposta sia populista e la liquidiamo, (guarda un po’), con la facilità di chi evita il confronto e, quindi, un pilastro del buon vivere democratico?
Da quando gli intellettuali hanno smesso di fare il loro lavoro e di dare senso ad un’epoca prospera di risorse e informazioni, il presente ha cominciato a contraddirsi e l’intelletto a prostituirsi, ovviamente.
Non si scrive più per “punzecchiare” il potere o un pubblico dormiente, no. Bensì per mantenerlo dormiente e convincerlo che il conflitto, (inteso come confronto utile alla maturazione) non serva.
Da quando gli intellettuali hanno smesso, insomma, di ricordare al potere che cos’è (“memento mori”), abbiamo cominciato a “produrre” generazioni di laureati utili solo a replicare ciò che è stato detto perché si sa “non si può avere una propria opinione”.
La contraddizione, infine, da quando gli intellettuali hanno abbassato le mutande ha vinto con oscena prepotenza e dove si è cominciato a pretendere di non appicciare etichette si sono inventate etichette e costrette le persone a pensare in un modo esclusivo pena “l’esclusione da un mondo inclusivo”.
Quale potrà essere la risposta del domani mi è ignota ma se è vero che prima o poi ogni ciclo conosce una conclusione, tutto tornerà alla verità e quel giorno, quando la storia dirà “il paradigma è sbagliato”! non penso che le maggioranze saranno pronte.