Vendere ai tempi dell’e-commerce: limiti e prospettive
Le parole sono magiche: possono suscitare sensazioni positive, attrarre, stimolare… Ma possono anche stancare, allontanare, spaventare!
Sono stati in effetti scritti fiumi di parole sulla vendita, (basta fare un giro in libreria o navigare su Internet per rendersi conto quanto questo tema così delicato abbia suscitato interesse tra gli esperti e soprattutto tra i non esperti) ma pochi hanno tentato di rispondere con serietà alle seguenti domande: cosa significa veramente vendere oggi? E chi è il venditore eccellente?
Nell’immaginario collettivo si è ormai fossilizzato lo stereotipo del venditore tipo stile “The wolf of Wall Street”: arrogante, furbo, eccentrico, disposto a tutto pur di fare soldi ma questi è realmente l’unico venditore possibile?
Quando un venditore ci avvicina reagiamo spesso non a caso seccati; la diffidenza ma soprattutto la paura di essere in qualche modo truffati ci spinge ad alzare un muro nei confronti di una persona che sta facendo semplicemente il suo lavoro e spesso, (si badi bene) non abbiamo tutti i torti.
Ma il venditore vero, (anche se non mi piace molto questa definizione), è in verità prima di tutto un buon comunicatore. In altre parole, un buon venditore, ossia un professionista di cui possiamo fidarci è un buon comunicatore non già perché è in grado di utilizzare in maniera sapiente le parole, ma perché è capace di conciliare azione e pensiero.
Insomma, il pensiero del buon venditore (ossia del buon consulente) si esplica cioè nelle sue azioni, nei suoi discorsi e quindi, il suo pensiero è automaticamente osservabile come il risultato di una riflessione, di una osservazione della realtà circostante e quindi una conseguente reazione intelligente.
Dagli anni ’80 ad oggi la società e l’economia sono cambiati, di conseguenza l’approccio sbrigativo, seducente e adulatore del venditore che abbiamo conosciuto guardando le gesta di Jordan Belfort al cinema non funziona più.
Vendere oggi non significa infatti “cacciare selvaggina” o “spellare polli”; vendere oggi significa cercare il cliente giusto, il cliente veramente interessato e costruire con lui una soluzione.
Ne consegue che il venditore non è più tale, non è più appunto un semplice venditore, ma un promotore, un “problem solver” o, come già scritto poco fa, un consulente.
Sì, possiamo continuare ad utilizzare le espressioni “vendita” o “reparto vendite” per praticità ma la sostanza è cambiata, le strategie sono cambiate perché è cambiata la realtà e malgrado si creda ancora che il marketing e il settore vendite siano elementi da considerare in un secondo momento nel processo di consolidamento dell’azienda, quanto appena spiegato dovrebbe al contrario dimostrarci che vendere è divenuto prioritario proprio perché ancora più difficile che un tempo!
In conclusione, le parole non bastano ma contano così come la strategia non basta in quanto tale ma può fare la differenza e non a caso, l’unica conclusione che ora posso in qualche maniera permettermi di proporre non può che avere come oggetto un esperimento e la riflessione a proposito di una (non) strategia.
L’esperimento in questione è stato realizzato nel 1974 quando a diversi gruppi di persone è stato mostrato un filmato senza audio nel quale si potevano vedere due automobili subire un incidente.
Ora, malgrado al pubblico non siano stati forniti i punti di riferimento oggettivi per determinare la velocità delle due auto, dopo la proiezione, ad alcune persone è stato chiesto a che velocità andassero le due automobili, secondo loro, quando si sono urtate ma ad altre persone è stato chiesto a che velocità andassero le due automobili quando si sono scontrate.
Le persone del primo gruppo (quelli delle auto urtate) hanno dato come risposta media 34,0 miglia (circa 54 km/h) mentre le persone del secondo gruppo (i membri a cui è stato parlato di auto scontrate) hanno invece dato come risposta media 40,8 miglia (circa 66 km/h).
Ora, cosa ci può insegnare la differenza appena ricordata? Senza ombra di dubbio una sola certezza: le parole fanno la differenza e possono essere di aiuto come possono essere al contrario un’arma.
La (non) strategia che desidero piuttosto ricordare e che spero possa comunque insegnarmi qualcosa un domani mi riguarda e riguarda il momento in cui due anni fa si dovette strutturare un piano operativo per proporre Quolit alle imprese e non si fece alcun piano operativo.
Complice la totale assenza di esperienza si decise in effetti di puntare sull’improvvisazione e sull’esperienza sul campo, di valorizzare l’idea di presentarsi forti di un principio ben definito come quello dell’unione e cercare di andare avanti, insieme.
Ora, che sia prematuro stabilire i vantaggi di quanto appena raccontato è evidente ma dopo due anni di lavoro, le aziende che vendono sulla nostra piattaforma sono quaranta e questo credo dimostri che a volte la (non) strategia possa a volte superare le aspettative.
Certo, la strada non è ancora finita per nessuno così come l’opportunità di continuare a prescindere a maturare e a riflettere circa un uso sempre più sapiente delle parole tra i banchi dell’università, al lavoro e per strada.