Perché il 25 settembre non voterò
In una scena del film “L’ora più buia”, Winston Churchill (Gary Oldman) è in metropolitana. E’ Primo ministro da pochi giorni ma nel vagone tutti lo riconoscono e anziché ignorarlo (o insultarlo) lo salutano con rispetto.
Qui, Winston Churchill segue il consiglio ricevuto poche ore prima del re Giorgio VI e improvvisa un sondaggio: “Se ci fosse la remota possibilità di trattare una resa con la Germania accettereste?”, “Never!” Gridano i presenti.
L’episodio appena ricordato non è storicamente attestato ma è verosimile poiché Winston Churchill spesso incontrava i cittadini inglesi per ravvivare il loro morale. Certo, l’uomo che guidò il Regno Unito dal 1940 al 1945 non è stato un populista, anzi: ha sempre rivendicato le sue origini privilegiate! Ciononostante, l’esempio che diede sovente nel corso del conflitto nell’incontrare i propri connazionali è importante per chi vorrebbe avere incarichi pubblici.
Sarebbe magnifico, infatti, poter incontrare al bar o in metropolitana un rappresentante del popolo italiano e potergli parlare apertamente di problemi veri ma purtroppo, per una serie di motivazioni, ciò non accade e di conseguenza, il distacco dall’elettorato aumenta ogni giorno di più…
Ma perché non accade?
Le ragioni sono molteplici e sebbene non sia semplice ricordare tutte le motivazioni storiche che hanno portato i politici ad allontanarsi dagli elettori, possiamo comunque cercare di comprendere quali conseguenze comporta una frattura apparentemente insanabile.
Con l’inizio delle operazioni militari russe in Ucraina, la storia “è tornata” e tornando ha ricordato a gran voce quanto sensibili e fragili siano le nostre democrazie. Per comprenderlo è necessario fare riferimento ad un rapporto Edelman che rivela un dato sconcertante: gli abitanti della Repubblica Popolare Cinese e dell’Arabia Saudita (definite “dittature efficienti”) nutrono maggiore fiducia nei confronti del governo rispetto a paesi come gli Stati Uniti d’America, il Regno Unito e, naturalmente, l’Italia.
Certo, è possibile che una cospicua parte di chi abbia espresso la propria fiducia nei confronti del governo in paesi come la Repubblica Popolare Cinese e l’Arabia Saudita sia stato condizionato ma non è comunque possibile trascurare una discrepanza oggettiva che, in ogni caso, merita un’analisi.
Per spiegare (e comprendere) la disaffezione nei confronti del modello occidentale e l’aumento dei regimi autocratici il primo ministro ungherese Viktor Orban ha coniato la definizione di “democrazia illiberale” e rivelato quindi la teoria per cui nell’era di Internet e dei social media un governo paralizzato dal confronto e dalla polarizzazione non possa funzionare.
Strano ma vero, ciò che è stato appena ricordato non solo spiega molto bene un disagio crescente in quella fetta di popolazione che, (anche in Italia), al confronto preferisce spesso il decisionismo dell’uomo forte ma anche una tendenza assai negativa e pericolosa che se non sarà adeguatamente monitorata trasformerà ciò di cui siamo orgogliosi (la democrazia, appunto) in un “sepolcro imbiancato”.
Ora, comprendo che quanto io abbia appena considerato possa contraddire un titolo forte e a dir poco provocatorio ma purtroppo, quella che può sembrare ai più una provocazione è la prova di un problema che condiziona non solo me ma milioni di cittadini.
Come liberale e fervente sostenitore dei valori democratici a votare ci andrei ben volentieri ma ciò che non riesco a comprendere è come potrei votare “il meno peggio” se tutti, in un modo o nell’altro, si sono dimostrati nei fatti “uguali al peggio”?
Da quando non è più necessario esibire il “Lasciapassare verde” per frequentare i locali, spesso mi intrattengo ad ascoltare l’opinione delle persone a proposito della politica e ovunque vada la frattura tra classe dirigente e cittadini pare essere divenuta in effetti insopportabile. Ma perché? Cosa è accaduto davvero?
Ciò che i politici (o gli aspiranti tali) si ostinano a non capire è che prima di pensare agli accordi, alle alleanze e alle strategie occorre un impegno concreto per riconquistare la fiducia di un elettorato che non capisce più l’eccesso.
Sì, è vero: la democrazia è sotto attacco ma credere di poterla salvare esclusivamente cercando costantemente un nuovo capro espiatorio non basterà.
A mettere in crisi le democrazie, non a caso, non sono esclusivamente quelle potenze che noi occidentali consideriamo “ostili” ma noi stessi; in parole povere: la democrazia è in difficoltà e a metterla in difficoltà sono paradossalmente gli stessi elettori perché non sanno a chi rivolgersi.
Cosa fare, dunque?
Per quanto possa sembrare scontato, bisogna proporre una visione oggettiva e ampia dei fatti, difendere e diffondere la cultura e, in un’ultima analisi, definire delle proposte sulla base di dati: i tempi in cui si possono proporre soluzioni astratte sono infatti finiti e oggi, pur tenendo conto delle disponibilità economiche del “sistema Italia”, bisogna proporsi in maniera semplice.
La verità è che viviamo un mondo complesso, un mondo che richiede risposte complesse ma allo stesso momento pratiche e facili da spiegare e nessuno, (ribadisco convintamente la parola “nessuno”), pare essere capace di tanto.
Le vicende politiche degli ultimi anni hanno dimostrato chiaramente quanto sia fragile il sistema politico italiano e di conseguenza il paese, il quale è non solo vittima di una perniciosa polarizzazione ma anche di problematiche via via sempre più ingombranti…
Un esempio: a parole tutti possono essere capaci di ribadire la necessità di aiutare i giovani ma in concreto quali soluzioni politiche propongono i partiti per riformare l’istruzione e il mercato del lavoro? In concreto, quali opportunità i partiti politici credono di poter offrire?
I programmi presentati sono poveri di “come” ed essendo tali difettano sia di strategia che di tattica: elementi imprescindibili per raggiungere il punto “B” partendo dal punto “A”…
Come scrissi, dopotutto, in un appunto del lontano 2016: “Se c’è cultura c’è consapevolezza, se c’è consapevolezza c’è libertà, se c’è libertà c’è coraggio di decidere, se c’è coraggio di decidere c’è responsabilità.”.
Ecco perché una vera partecipazione alla “cosa pubblica” non può prescindere da un superamento di quel perenne rinnovamento della paura che siamo stati costretti a subire ed ecco perché, ora più che mai, si rende necessario la riscoperta di un’alternativa a tutto ciò che abbiamo conosciuto fino ad ora.
In conclusione, il 25 settembre non voterò e, pur riconoscendo quanto discutibile sia la mia posizione nell’assecondare indirettamente una deriva che non mi piace, intendo comunque ribadire che anche non votando si può dare un messaggio: un messaggio non fondato sul disinteresse ma sul rifiuto.
P.S. Fare politica è difficile, lo so e so altrettanto bene quanto sia necessario, talvolta, accettare dei compromessi. Ciò che ho criticato non è perciò la politica in quanto tale ma una politica poco qualificata e incapace di seguire le orme di quei giganti come Winston Churchill che seppero non solo difendere la democrazia ma anche conciliare il metodo ad una comunicazione efficace.
Forse è vero che nei decenni siamo peggiorati (si spiegherebbe perché ogni generazione ha crescenti motivazioni contro la propria classe dirigente); di sicuro, prima o poi generazioni di persone deluse al punto da dire “io mi astengo” chiederanno delle risposte che soluzioni sterili e parziali come quelle attualmente disponibili non potranno garantire.