Perché il portafoglio elettronico non è un’urgenza

Il ministro per l’innovazione tecnologica e digitale, Vittorio Colao, non ha dubbi: tutti i dati dei cittadini dovranno essere digitalizzati e contenuti in un portafoglio elettronico.

Come infatti ha spiegato lo stesso ministro nel corso di una conferenza stampa avvenuta martedì 5 luglio, “L’obiettivo è creare una vera e propria Schengen del digitale”, ossia un Qr code contenente tutti i documenti necessari per essere un buon cittadino europeo.

L’Italia ha l’ambizione di porsi come avanguardia del progetto di digitalizzazione che rientra nel contesto più ampio di riforme previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), per cui non possono esserci disguidi in merito alla forma: tutto dovrà passare per il portafoglio elettronico, il cosiddetto “wallet”.

Dunque, il disegno dei rappresentanti di Bruxelles (con il beneplacito del World Economic Forum) prevede un Paese interamente digitalizzato e connesso dove tutto sarà potenzialmente controllabile e tracciabile: in altre parole, a scanso di equivoci, l’idea è quella di estendere quindi a tutti il possesso di un’identità digitale e di un portafoglio virtuale in cui saranno contenute tutte le informazioni che riguardano la vita di una persona, (dai documenti al conto bancario, dalla tessera elettorale fino al fascicolo sanitario elettronico).

Ora, veniamo all’ora. In linea di principio, sostenere un ampio percorso di digitalizzazione non farebbe male al nostro paese; tuttavia, c’è un tuttavia. Un “tuttavia” ingombrante e fastidioso: abbiamo veramente bisogno di un portafoglio digitale? Abbiamo veramente bisogno di costruire una novità lì dove lo Stato sociale (e lo Stato stesso) quasi non esistono più?

Nei paesi come quello da cui proviene la mia famiglia, le storie di alcuni cittadini si mescolano alla leggenda. Nel caso specifico, si racconta che una volta un muratore decise di costruire il porcile più bello del paese ma che dopo quasi un mese di lavoro si rese conto di aver costruito una costruzione magnifica ma senza la porta, ossia un porcile inutile.

Vittorio Colao mi sembra perciò come il muratore di cui ho appena fatto menzione e, “absit iniuria verbis”, il progetto che intende perseguire non mi sembra molto diverso da quello di un “porcile senza la porta”.

Come già ribadito, l’Italia merita massicci investimenti in termini di digitalizzazione. Non solo perché la digitalizzazione può creare opportunità e crescita economica ma anche perché la digitalizzazione può migliorare numerosi aspetti della nostra vita quotidiana e lavorativa.

Ciononostante, l’Italia (esattamente come l’intera umanità) meritano inoltre massicci investimenti in istruzione poiché l’essere umano se non sa effettivamente dominare la macchina è nulla: è uno strumento al servizio di qualcuno o qualcosa, non un cittadino.

Domandarsi, pertanto, a cosa possa servire la sanità 4.0 che pretende di predire le nostre patologie quando nei nostri ospedali manca il personale (e si muore a causa di banali infezioni batteriche) non credo sia un atto eversivo, ma un atto logico.

Allo stesso modo, credo che domandarsi a cosa possa servire il portafoglio digitale e tutto ciò che contiene quando il cittadino non ha più fiducia nella giustizia a causa delle lungaggini della stessa, non credo sia un atto intellettualmente disonesto (o luddista) ma un atto civile.

Quando dissero che con l’informatica avremmo lavorato meno e meglio, in linea di principio non sbagliarono. Ciò che fu sbagliato, fu purtroppo la fiducia nel genere umano e nella sua capacità di tenere il passo con il progresso poiché come ha giustamente ricordato il biologo E.O. Wilson durante un recente incontro al Museo di Storia Naturale di Harvard: “Il vero problema dell’umanità è che abbiamo emozioni paleolitiche, istituzioni medievali e tecnologie futuristiche. O, più a fondo: il vero problema dell’umanità è che abbiamo tecnologie futuristiche attraverso le quali persone senza scrupoli approfittano di istituzioni medievali per abusare delle nostre emozioni paleolitiche…”.

A prescindere, perciò, da tutte quelle teorie del complotto che qui non ribadiremo, la possibilità che la pervasività dello Stato nella vita dei cittadini possa in realtà non recare loro alcun beneficio è possibile.

Chi garantirà, in effetti, che “uomini senza scrupoli” non abusino di informazioni dettagliate per approfittare delle nostre “emozioni paleolitiche” per convincerci di qualcosa che non è vero?

E chi garantirà, inoltre, che “istituzioni medievali” non si svendano a “uomini senza scrupoli”?

Tutto ciò, in un certo qual modo, sta già accadendo e l’abuso che viene fatto dei nostri dati è una prova forte quanto quella che vede “uomini senza scrupoli” abusare del proprio potere economico per condizionare le scelte di paesi sovrani.

Come giustamente ha terminato E.O. Wilson, “Solo un’educazione all’attenzione può far maturare le nostre emozioni, permettendoci di riconoscere il potere del capitalismo della sorveglianza e la vecchiaia delle nostre istituzioni. Ma per farlo serve comprendere che “più mi conosco, meno sarà manipolabile”.”.

“Conosci te stesso”, allora: ecco perché, forse, abbiamo tentato di uccidere nuovamente Socrate stigmatizzando la ragione!

Ma una soluzione c’è: bisogna conoscersi per poter diventare imprevedibili e potersi finalmente riprendere, in conclusione, il futuro. E’ un nostro diritto. E’ un nostro diritto in quanto cittadini!

Ben venga, torno a ripetere, un processo di risanamento della nostra infrastruttura digitale ma non sia essa eccessiva rispetto ad un processo di effettiva rinascita del nostro welfare.