Allo stato attuale dei fatti…
Ho cercato delle prove scientifiche a supporto dell’esistenza del “Green pass” e del “Super Green pass” ma…indovinate? Non ho trovato nulla.
No, non basta dire “Il Green pass” e il “Super Green pass” garantiscono un contatto tra persone negative perché i dati degli ultimi mesi ci dicono il contrario.
Il problema, infatti, come già approfondito in numerose altre occasioni, è politico e ideologico.
L’appoggio ai vari pass ormai è dunque esclusivamente pretenzioso e viene portato avanti in modo assoluto solo da chi o ha paura o ha un problema di vista…
“Absit inuria verbis”, naturalmente, ma a prescindere dalla demagogia come si può ritenere i pass uno strumento sanitario?
Ripassare il funzionamento dei vari pass sarebbe come attraversare un parco giochi grottesco e angosciante: tra contraddizioni e punti ciechi, rischieremmo purtroppo di perderci…
Osserviamo dunque i fatti, due fatti nello specifico a dir poco inquietanti: i pass, in numerosi contesti sono disapplicati
(per fortuna!) e la loro persistenza esacerba un’ideologia isterica e divisiva.
In numerosi negozi in cui si dovrebbero domandare, i pass non vengono richiesti e, udite udite, in numerose filiali bancarie si possono effettuare operazioni senza esibire nessuna certificazione!
“Si faranno dei controlli a campione…” si dice…ma quando? E come? Se ognuno fa ciò che ritiene più opportuno e si ritrova costretto a non rispettare una norma assurda, lo Stato si può ritenere ancora credibile?
Attenzione: qui non stiamo parlando di norme ormai desuete e disapplicate nei fatti, nemmeno di norme complesse la cui violazione viene ampiamente perseguita, ma di norme assurde, appunto, in aperta contraddizione non solo con la scienza ma anche con sé stesse.
Generare il caos e incutere terrore ai cittadini per costringerli di conseguenza a fare una cosa si può ritenere un atto legittimo? Un atto trasparente? Credo proprio di no.
Dei limiti costituzionali dei pass si è già discusso in altre sedi, per cui torniamo sul punto appena evidenziato e rilanciamo la seguente domanda: il Covid mentale conta più di quello fisico?
Rispondere a questa domanda è complicato. Il Covid non è uno scherzo, esiste, ma esiste anche un limite all’approccio di una comunità nei confronti di un problema.
I danni psicologici che due anni di pandemia hanno generato non sono, come direbbe qualcuno “danni collaterali” o “danni preesistenti”, sono conseguenza di un clima di terrore e di denigrazione portato all’estremo.
Prima o poi, dovremo fare i conti con la paura che abbiamo piantato nelle menti di chi guarda il prossimo come un nemico, stesso discorso vale per chi ha alimentato il fuoco di una divisione immotivata che ha visto tutti vittime di uno Stato che in realtà, in termini di investimenti in salute pubblica, “ha fatto pochino”.
Chi si ostina a difendere le soluzioni dell’Esecutivo, senza se e senza ma, mi ricorda ormai un adepto della comunità dei “Perfezionisti”: una comunità utopistica fondata nel 1848 da John Humphrey Noyes (1811-1886) a Putney (Vermont), per cui le malattie sono figlie del peccato.
Parliamoci chiaro: nessuna comunità può fare dello “Stare a casa” il proprio destino senza negare sé stessa (soprattutto se la coazione a non toccarsi, o peggio, ad evitarsi, incrina rapporti sociali già fortemente instabili).
“E’ la geopolitica, bellezza”.
La fede in qualcosa che non ha nulla da spartire con la fede, esattamente come la convinzione di dover sconfiggere la morte a tutti i costi, sono realtà che, a prescindere da Noyes, esistono ancora!
Il culto della tecnica lo dimostra e badate bene: non a caso mi avvalgo della parola “culto” …
Ora, l’Italia può continuare tranquillamente a nascondere la testa sotto la sabbia come uno struzzo per ancora qualche mese, può continuare a convincersi di essere un grande paese perché siamo bravi nello sport, può insistere nella radicalizzazione dello scontro sociale, può avvalersi di un perpetuo stato di emergenza ma non risolverà mai tutte quelle disfunzioni per cui la legge, caposaldo di una civiltà, non è più legge.
Introdurre delle restrizioni che non hanno logica, acuire la confusione con continue modifiche delle norme, ignorare le contraddizioni delle stesse, sono tutti segnali pericolosi che la rielezione di Sergio Mattarella e l’atteggiamento della Corte costituzionale, purtroppo, confermano.
E’ facile arrabbiarsi per la rielezione di Sergio Mattarella e invocare un rinnovamento che la classe politica non è in grado di immaginare e poi dimenticare quanti disagi provocano i pass…
E’ facile arrabbiarsi contro la Consulta e reclamare la possibilità di potersi esprimere su tematiche “calde” e poi dimenticare quanto incomprensibili siano le misure di contenimento contro il Covid-19…
Tutto si collega, sono questioni differenti ma intrinsecamente connesse ad una verità oggettiva e spaventosa: l’Italia non è più un paese effettivamente democratico.
Lungi da me ogni appropriazione indebita di luoghi comuni ma se in un paese i cittadini perdono fiducia nelle Istituzioni perché non solo non sono più in grado di rappresentarli in modo effettivo, ma anche di produrre leggi chiare e di garantire la giustizia in tempi rapidi, cosa resta, in concreto, dei princìpi che hanno fatto dell’Italia un paese del G7?