Papa Francesco e quelle etichette di cui non abbiamo più bisogno…

Dopo la scomparsa del Pontefice lunedì 21 aprile, si è cominciato a dire tutto e il contrario di tutto a proposito di chi è stato (o avrebbe potuto essere Jorge Mario Bergoglio).

Ora, prescindendo dal fatto che la morte del Papa conferma quell’antico adagio buddista per cui “Ci sono soltanto due uomini perfetti: uno è morto e l’altro non è mai nato”, credo che in questa sede valga la pena approfondire alcune definizioni non tante teologiche ma politiche attribuite al compianto Vicario di Cristo.

Le riflessioni maturate, ad esempio, a proposito di quelle critiche osservate da Papa Francesco contro il capitalismo hanno spesso suggerito che il Pontefice sia stato un socialista ma è davvero stato così? E’ possibile attribuire al Papa delle categorie politiche di riferimento precise?

In linea teorica sì, il Papa è prima di tutto un uomo e se consideriamo cosa sia la politica in termini ampi e non contingenti all’attività esclusiva in seno a un partito la Chiesa ha sempre avuto un ruolo politico, (l’attività della stessa e, naturalmente, la dottrina cattolica non hanno in effetti un impatto sulla vita della società?).

Certo, dal Papa ci si aspetta un atteggiamento super partes, intransigente e, non a caso, coerente con quella che è appunto la dottrina della Chiesa ma trascurare quanto siano importanti le anime che agitano i diversi papati sarebbe senz’altro un errore.

Dunque, Papa Francesco è stato un papa socialista? Se ci limitassimo a considerare in maniera esclusiva l’ostilità del defunto Pontefice nei confronti di un “Capitalismo che produce scarti” come ebbe ad affermare nel 2017 e molte altre prese di posizione critiche nei confronti dell’attuale sistema economico predominante nelle aree economicamente più sviluppate, Jorge Mario Bergoglio non è stato senza dubbio un campione dell’economia di mercato ma basta questo per definirlo un “socialista”? E se i termini “socialista” e “capitalista” non fossero sufficienti per descrivere la personalità del Capo della Chiesa nel XXI secolo e il XXI secolo stesso?

E’ mia modesta opinione, come già sostenuto in altri contesti, che il nostro presente non solo non possa essere capito senza un’adeguata (ri)scoperta del senso della storia ma che esso non possa essere pienamente affrontato senza una coraggiosa presa di posizione contraria a ogni forma di etichettatura.

La più recente tendenza sui social ci vede (quasi) tutti impegnati a creare “action figure” di noi stessi, versioni giocattolo del nostro “io” che riducono la nostra persona a un evidente limitazione e non è un caso giacché quella limitazione, per quanto simpatica, è tuttavia la perfetta dimostrazione di quanto il presente non riesca a fare a meno di una riduzione a schemi elementari per spiegare (e spiegarsi).

Di conseguenza, se consideriamo altresì le già denunciate limitazioni della democrazia in quei contesti dove il capitale (specialmente finanziario) può ormai disporre di un potere politico tale da svuotare il senso della stessa partecipazione elettorale termini come “capitale” e “socialismo” si ridimensionano.

Mutatis mutandis, se consideriamo inoltre come sono cambiati i rapporti di forza nel contesto economico negli ultimi cento anni e riconosciamo quanto ormai il conflitto sociale non sia più tra parti come quella della classe operaia e quella degli industriali ma tra tra un ceto medio sempre più “proletarizzato” e un grande capitale finanziario evasivo e transnazionale possiamo ancora continuare a spiegare il tutto sulla base non già di parole ma proprio di concetti novecenteschi?

Io credo di no e credo, Rebus sic stantibus che definire l’ormai precedente Papa “socialista” sia limitante.

Di Papa Francesco certo si scriveranno e si diranno tante cose e io, nel mio piccolo, non dimenticherò mai quando giustificò l’utilizzo di strumenti discutibili e antiscientifici come il “Lasciapassare verde” ma a prescindere da ciò, io credo che la scomparsa di un uomo che è stato comunque un importante personaggio pubblico debba ispirare riflessioni ampie e mature.

Come ebbi già a scrivere nell’articolo “E se il capitalismo fosse morto?” credo che domandarsi in un’epoca nel quale le aspettative di migliorare la propria posizione sociale siano notevolmente più basse rispetto al passato (così come le possibilità di accedere al credito da parte di chi non ha risorse se non buone idee) debbano suscitare interrogativi non trascurabili a proposito dello stato di salute del capitalismo attuale.

Vero, il capitalismo nella storia ha da sempre saputo sopravvivere proprio adattandosi alle circostanze e facendo delle stesse delle caratteristiche proprie del fenomeno innovativo ma ora che le opportunità sono oggettivamente limitate e che non è più possibile immaginare lo sviluppo di un’accesa competizione dal basso in un contesto dove grandi colossi imprenditoriali e finanziari detengono ampie quote di mercato , credo sia doveroso chiedersi che tipo di capitalismo sia questo.

E’ forse questo il migliore dei sistemi possibili? Questo presente che riduce le possibilità del piccolo di emergere e di migliorare quindi la propria condizione grazie al risparmio e a un più facile accesso al credito è forse una degenerazione o una normale conseguenza di ciò che è stato?

E’ senz’altro indubbio che oggi, la tecnologia ci consente lo sviluppo di opportunità diverse rispetto al passato ma la tecnologia è una possibilità che comporta un uso responsabile da parte dell’essere umano e questo uso responsabile non è certamente incoraggiato, allo stato attuale dei fatti, da chi definisce il volto dell’economia di mercato.

Se è vero, in linea di massima, che l’informatica avrebbe dovuto permetterci di avere più tempo libero come mai le aziende continuano a perseguire, pedissequamente, un modello lavorativo di otto ore? E se è vero, ad esempio, che l’Intelligenza Artificiale ci consentirà di lavorare meno come si spiegano ancora le richieste da parte di Google ad aumentare le ore di lavoro degli ingegneri per vincere la competizione nel settore?

Il commercio non può certo prescindere dal fondamentale che si vede definirsi nell’intesa tra le parti e la Chiesa non può rinunciare alla missione di predicare l’amore incondizionato per il prossimo che ha insegnato Gesù nei Vangeli, perciò si dia “Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” ma si tenga comunque in considerazione il fatto che la fragilità attuale dei rapporti umani, l’incapacità di concretizzare le relazioni affettive e il crescente disagio di quei lavoratori che non riescono a trovare un senso della loro esistenza (anche) grazie al lavoro sono problematiche tipiche di un tempo che non merita le già criticate etichette né tantomeno spiegazioni parziali o (iper)specialistiche ma risposte olistiche e divergenti dai luoghi comuni.

Allo stesso modo, se riconosciamo che l’innovazione comporta uno sviluppo critico della coscienza dell’essere umano non solo dobbiamo riscoprire l’importanza dell’educazione del singolo ma porci una domanda dirompente, (forse) provocatoria quanto fondamentale: può ogni singolo autodeterminarsi in maniera consapevole?

Lo scontro principale che ha visto contrapporsi nei secoli il cattolicesimo al protestantesimo ha avuto come oggetto proprio il termine della salvezza e l’idea, da un lato che questa fosse alla portata di tutti e dall’altro che la salvezza fosse propria solo di alcuni predestinati.

Ora, per quanto non spetti a me rispondere ad annose questioni teologiche che mai (probabilmente) vedranno una risposta, la dipartita del Santo padre mi suggerisce perciò alla luce di quanto dunque osservato finora una valutazione laica del tema di cui sopra e una domanda a mio avviso non più prorogabile: è appunto possibile pensare che il singolo, ogni singolo, possa salvarsi da solo di fronte alle contraddizioni del XXI secolo?

Il ricordo della celebre scena del film “Il padrino- Parte III” in cui il cardinale Lamberto mostra a Michael Corleone una pietra bagnata dall’acqua e paragona la stessa al cuore dei cristiani che in tanti secoli non è stato “bagnato” dall’acqua di Cristo ispira senza dubbio una riflessione non di poco conto sulle colpe e i fallimenti della Chiesa ma anche una riflessione sul cuore stesso dell’essere umano e sulla sua capacità di cambiare.

In breve, se il cristianesimo non ha ispirato in oltre duemila anni una piena consapevolezza del messaggio di Gesù Cristo è possibile sperare allora che possa esserci altro di ispirazione?

La sfida epocale che comporta l’uso dell’Intelligenza Artificiale è, in conclusione, una sfida in apparenza già persa se consideriamo non solo la superficialità con la quale oggi ce ne serviamo ma addirittura il modo con cui esprimiamo la creatività; tuttavia, sperare o quantomeno impegnarsi per tentare di tracciare un nuovo solco è senz’altro importante (anche se questo dovesse rivelarsi almeno nel breve tempo una fatica di Sisifo)…