Fascismi di ieri…E di oggi…
In questa puntata, parleremo di fascismo ma, a differenza di quanto si possa credere, non limiteremo la nostra analisi ad un discorso tutto sommato superficiale a proposito di ciò è semplicemente stato il fascismo nei primi decenni del secolo scorso.
In questa puntata, cercheremo infatti di approfondire aspetti del movimento fascista in relazione non solo ad una manifestazione drammatica che ha trovato evidenza appunto dopo la Grande guerra ma anche in relazione a ciò che è stato nel profondo e che potrebbe purtroppo ancora essere.
Interrogarsi su ciò che è stato il fascismo, significa in altre parole interrogarsi sulla nostra identità nazionale ma non solo poiché significa, inevitabilmente, interrogarsi sul nostro ruolo come Italia in Europa e in relazione a ciò che definiamo “non Occidente”.
Non è infatti sbagliato dichiarare che il Ventennio fascista e, ciò che appunto è stato il fascismo, continuano a essere oggetti più discussi che compresi e non è sbagliato affermare di conseguenza che molti dei problemi ancora aperti in relazione ad un movimento mai pienamente superato, (sia nei fatti che in certi atteggiamenti), si rivelano essere ben più complessi di quanto si racconta in alcune sedi…
Come ricordano gli autori Pierre Milza e Serge Berstein nel libro “Storia del fascismo”, “Quando nel novembre 1918 l’Italia esce dalla Prima guerra mondiale, fa parte del campo dei vincitori ma è un paese in piena crisi che deve affrontare le difficoltà del dopoguerra.
A dire il vero, tale crisi non è un fenomeno nuovo. Essa dipende in buona parte dall’arcaicità e dalle contraddizioni di un sistema politico che non ha saputo adattarsi alle trasformazioni economiche e sociali del periodo postunitario e al difficile inserimento del giovane regno nel gioco tormentato delle relazioni internazionali…”
Il fascismo che trova un modo per esprimersi dopo la Prima guerra mondiale è, di conseguenza, un movimento politico che risponde a diverse esigenze. Innanzitutto, risponde a chi, nonostante l’impegno in trincea, è costretto a fare i conti con quella che Gabriele D’Annunzio definì “una vittoria mutilata” ma non solo: a prescindere dall’insoddisfazione di chi, come appunto il poeta, rivendica territori non riconosciuti all’Italia come quello di Fiume, il fascismo risponde inoltre anche all’insoddisfazione di chi è costretto a fare i conti con una realtà le cui condizioni economiche sono deboli.
Il fascismo non solo, dunque, eredita un complesso di slogan e princìpi estetici che aveva ideato Gabriele D’Annunzio a Fiume, nel 1919, ma eredita la necessità di rispondere alle esigenze di una borghesia, la quale teme che le rivendicazioni sindacali dei lavoratori possano ben presto sfociare in una rivoluzione come quella avvenuta in Russia nel 1917.
In altre parole, come scrisse Luigi Salvatorelli in un saggio che confluì nel testo di Renzo De Felice “Il fascismo”, “Il fascismo, dunque, rappresenta la “lotta di classe” della piccola borghesia, incastratasi fra capitalismo e proletariato, come il terzo dei due litiganti”.
Come tuttavia esistono differenze nello sviluppo dei diversi fascismi in Europa, (si pensi ad esempio che il fascismo, in Italia, svilupperà un più marcato antisemitismo solo dopo l’avvicinamento al nazionalsocialismo tedesco) non è nemmeno possibile ritenere “sic et simpliciter” che il fascismo sia un naturale prodotto del capitalismo in quanto tale.
Vero, come osservato, in Italia e anche nella Germania della Repubblica di Weimar, il fascismo e il nazismo risponderanno come già osservato alle esigenze della borghesia ma la storia è un fatto molto più complesso di quello che può sembrare e il fascismo, esattamente come il capitalismo, è un fenomeno storico ampio che si esprime in modi diversi.
Non a caso, i paesi che vincono la Seconda guerra mondiale cosa sono se non prove evidenti di una dimostrazione diversa del capitalismo? Dimostrazioni, in altre parole, di un’espressione capitalistica che non ha guardato alla necessità di un regime per tutelare le esigenze di una classe imprenditoriale?
Le diverse realtà di un paese e le diverse caratteristiche che contribuiscono a determinare la manifestazione di un fenomeno in un modo, piuttosto che in un altro, spiegano dunque perché è difficile analizzare e comprendere la storia, spiegano perché l’Italia, nonostante avesse vinto la Prima guerra mondiale vide in Benito Mussolini la risposta a numerosi problemi e spiegano infine perché il fascismo non può ridursi ad una solo dimostrazione.
Pier Paolo Pasolini, ad esempio, ha sviluppato un’ampia riflessione a proposito di ciò che intimamente è stato il fascismo, (indipendentemente dalla sua manifestazione più nota); la riflessione sul fascismo e sulla sua evoluzione storica attraversa non a caso tutta l’opera di Pasolini il quale, prendendo spesso e coraggiosamente posizione contro un antifascismo di maniera ormai fuori tempo massimo, mise in guardia da una nuova forma di fascismo, più subdola e insidiosa, intesa “come normalità, come codificazione del fondo brutalmente egoista di una società”.
In parole diverse, Pier Paolo Pasolini osservò come l’antifascismo di facciata che aveva ancora in mente una certa ed unica visione del fascismo non si fosse accorto che il sistema dei consumi che a partire dagli anni Sessanta si era reso responsabile dell’omologazione culturale del paese, ossia di un nuovo fascismo, un nuovo totalitarismo, un potere senza volto, senza camicia nera e senza fez, ma capace comunque di plasmare le vite e le coscienze.
Ora, a distanza di oltre quarant’anni, gli interventi del grande intellettuale mantengono forse intatta la loro forza critica? Permettono di cogliere anche ora alcuni dei tratti più profondi dell’Italia di oggi?
Rispondere, anche in questo caso, è difficile ma tentare una soluzione è necessario.
Un sempre più radicale appiattimento del modo di fare e del pensiero intorno ad un solo ed esclusivo modo di vedere la realtà che i media ritengono giusto in modo aprioristico, non è forse una negazione del contradditorio? Una ennesima manifestazione di un fascismo, dunque, ben più subdolo di quello che si pretende vedere quando si denunciano pochi nostalgici?
Vero, in linea di principio nulla impedisce una dichiarazione del singolo apparentemente in contraddizione con una maggioranza considerata meritevole di attenzione ma cosa è effettivamente accaduto a chi ha provato a contraddire, con coscienza, alcune opinioni che si sono rivelate poi sbagliate?
Cosa dire, in conclusione, di quella vera e propria assenza di logica che pretende di classificare ogni forma di dissenso e di ridurla a mero “no-qualcosa” o, peggio, becero complottismo?
Molto si potrebbe dire come molto si potrebbe dire del fatto che scadere in trappole intellettuali che pretendono di spiegare in modo semplicistico alcune apparenti correlazioni non è degno di un’epoca ricca di strumenti intellettuali come la nostra.
Tuttavia, onde evitare in questa sede divagazioni comunque importanti ma che riusciranno comunque a trovare una dimensione in altre sedi, si ribadisce che fenomeni storici come il fascismo, il comunismo o il capitalismo debbano essere approfonditi in relazione al contesto e al momento storico ma che non possono comunque essere compresi pienamente e, se necessario, affrontati, senza un’adeguata valutazione della loro più autentica natura: valutazione che però comporta un’analisi che in tempi di facili prese di posizione preferiamo purtroppo delegare ad altri a scapito di una democrazia stanca, compiaciuta e, come ai tempi di Pier Paolo Pasolini, forse sempre più ossessionata dal fascismo sbagliato.