L’importanza di chiamarsi democrazia

“Dunque, dottore, cosa abbiamo? Una repubblica o una monarchia?”

“Una repubblica, se sarete in grado di mantenerla.” 

Questo curioso (e quasi leggendario) scambio di battute ebbe luogo il 18 settembre 1787 a Philadelphia tra Benjamin Franklin e una signora curiosa di sapere quale futuro avrebbe avuto la rivoluzione scoppiata pochi anni prima.

All’indomani dell’insurrezione in Campidoglio a Washington DC da parte di alcuni sostenitori dell’ormai ex presidente Donald Trump, l’aneddoto appena raccontato non può non risuonare nell’anima di tutti coloro che credono ancora nella forza unitaria della democrazia come un severo monito.

I fatti che hanno sconvolto gli Stati Uniti nel giorno dell’epifania sono complessi e ancora una volta non possono essere spiegati alla luce di una narrazione che vede i “buoni” contro i “cattivi”.

In America imperversa infatti da tempo una bufera. Essa soffia da più parti, attraversa il territorio, ne scuote le fondamenta. E’ bianca, scuote gli abitanti, li pone gli uni contro gli altri, strattona e sconvolge le minoranze, impone a tutti di affrontare una verità che nessuno vuole comprendere e accettare: non può esistere democrazia senza responsabilità.

Nel vortice si distinguono tre nuclei in “lotta”: gli abbienti e post-storici abitanti delle coste (sprezzanti verso i sudisti e disinteressati ai connazionali dell’entroterra), gli statunitensi del sud e quelli del midwest. Questi ultimi in particolare, sono coloro che avendo sacrificato il loro reddito sull’altare del primato globale, hanno rinunciato alle loro industrie storiche e quindi sono assurti loro malgrado a rango di “scontenti” chiave. Sulle loro terre si è giocato e si giocherà ancora, probabilmente, il destino degli Stati Uniti d’America e Joe Biden non può aspettarsi di disertare l’appuntamento.

In tutto questo caos gli Stati Uniti continuano a camminare senza una meta. Vero, nella loro storia sovente è capitato che numerose pulsioni interne ispirassero dei conflitti radicali ma mai, come oggi, si è arrivati a vedere il paese così diviso.

Tutta colpa di Trump? Difficile rispondere a questa domanda ora. In gioco, come abbiamo appena visto ci sono equilibri storici che affondano le loro radici nel passato… che poi Trump non sia stato in grado di porre rimedio a conflitti definiti o definibili questo è un altro discorso, chiaro. Sull’argomento si veda ciò che è accaduto dopo la nascita del movimento di QAnons: nulla è stato detto per smentire chiaramente una realtà che ha fatto del complotto e delle allusioni degli argomenti politici.

E qui, veniamo al punto (forse): si può governare una democrazia e permettere che notizie false e allusioni avvelenino la ragione dei cittadini? Cioè di coloro che con il loro voto stabiliscono il presente e il futuro della nazione?

Si può dare per scontato che senza un’attenzione di primo grado ad istruzione e ricerca ci sia responsabilità e quindi “capacità di mantenerla” (la democrazia)?

Se crei una narrazione in cui tu sei buono e chi ti ha battuto è cattivo e uccide i bambini come puoi non aspettarti che qualcuno non reagisca in modo violento?

Ieri sono morte quattro persone. Pochi anni fa, quando QAnons divenne una realtà morì un ristoratore innocente perché un fanatico si convinse che nascondeva dei bambini nei sotterranei del suo locale. Cosa deve ancora accadere prima che si comprenda quanto può essere pericoloso strumentalizzare l’istinto in democrazia?

Dobbiamo forse aspettare che qualcuno inciti la violenza contro i cinesi, cioè contro coloro che possono essere tacciati facilmente di essere untori e usurpatori?

Dobbiamo forse aspettare che qualcuno individui un nuovo capro espiatorio come fu in Germania con gli ebrei al tempo del nazismo?

Come già scritto, i fatti di Washington possono essere tante cose e non è semplice giudicare e capire il movimento della storia in tempi brevi. Tuttavia, ignorare quanto poco senso di civiltà ci sia in chi può credere a tutto e al contrario di tutto potrà essere un errore fatale.

Da troppo tempo, ascolto commenti di apprezzamento nei confronti della Cina e la cosa devo ammettere mi sorprende un po’. La semplicità di frasi come “in Cina le cose funzionano” cosa dovrebbe suggerirmi? Che qualcuno sta cominciando a desiderare forse un padre-padrone che gli dica anche quando andare in bagno? E della storia di una civiltà che ha inventato concetti come quelli di libertà ed uguaglianza cosa intendiamo fare, allora?

Intendiamo forse dimenticarli perché incapaci di accettare, appunto, che scegliere significa essere prima di tutto consapevoli?

Spero di no.

Non esiste la perfezione. Non esiste neppure, di conseguenza, un’assicurazione contro tutte le peggiori manifestazioni che temiamo dell’animo umano, esiste però il compromesso, il cemento della convivenza e con tutto il rispetto credo che continuerò a preferirlo ancora a lungo alla visione unica di un solo partito.