Su Spotify…nel tuo telefono (e a Wall Street)
Nel mondo dell’informatica è in atto una rivoluzione: una rivoluzione veloce.
Spotify? E’ ufficiale: si quota a Wall street.
Nel frattempo Facebook naviga in cattive acque… Amazon alza le tariffe per i servizi di Amazon Prime…
Punto primo: quanto incideranno (se incideranno) le disavventure di Facebook sul debutto in borsa di Spotify?
E’difficile immaginare che Daniel Ek, (fondatore di Spotify), si lasci intimidire dal sentiment globalmente negativo del mercato condizionato dai titoli del web o che decida di rinviare lo sbarco in Borsa, (non preceduto da un’IPO), già fissato per il 3 aprile.
Pare infatti che Spotify abbia scelto di entrare sul mercato senza una preventiva offerta di azioni attraverso una banca d’affari e di rivolgersi dunque solo ad investitori istituzionali…
A completare il quadro, si aggiunga che nel corso degli ultimi anni il titolo è stato scambiato fuori mercato a vari prezzi fino ad una valutazione – in deal recenti – superiore ai 20 miliardi di dollari.
Ma questi risultati, sostiene il fondatore, devono ora essere confermati da un mercato ufficiale, in grado di garantire agli attuali soci la necessaria liquidità.
Nonostante i rischi evidenti e sempre presenti, Ek ha voluto sottolineare la “diversità” della quotazione della società leader dello streaming musicale che, dati a fine 2017, conta ogni mese 159 milioni di utenti, di cui 71 milioni con un abbonamento a pagamento (il doppio di quanti ne può vantare Apple Music).
Abbiamo tuttavia sul tavolo un conto economico in rosso: i dati di bilancio che verranno annunciati il giorno 26 dovrebbero confermare il trend…
Salgono però gli incassi, (l’azienda ha superato la barriera dei 4,1 miliardi di dollari di fatturato, +40 % in dodici mesi,) ma anche le perdite hanno toccato quota 1,25 miliardi (contro un deficit di 569 milioni nel 2016).
Barry McCarthy, l’uomo che nel 2012 ha guidato l’ingresso in Borsa di Netflix, (allora una modesta società di videotape alle prime armi nel nascente settore dello streaming), dice:
“Spotify ha le stesse potenzialità di Netflix nei primi dieci anni di attività, passata all’improvviso da un ebitda negativo a un margine del 35%”.
Spotify, secondo McCarthy, sta sacrificando profitti per allargare il mercato, esattamente come ha fatto Netflix (tutto su ricerca e sviluppo!).
Spotify , sfruttando l’evidente appeal verso il pubblico giovanile, allarga il proprio business riducendo le fee verso le case musicali: grazie al sempre crescente potere negoziale, testimoniato dai recenti accordi con Universal, Emie ealtre major, consolida la propria posizione.
A proteggere la leadership della società creata da Ek meno di dieci anni fa contribuiscono la diffusione globale del brand, l’efficienza dell’algoritmo e, non ultimo, i servizi che mettono in contatto gli artisti con i fan.
Quindi? I punti di forza di Spotify non mancano. Assolutamente.
Ma non è difficile prevedere una fase di estrema volatilità prima che il mercato possa esprimere un certo consenso attorno alla valutazione della società…
Se effettivamente IPO non ci sarà questo ci consentirà allora di aspettare il momento opportuno…
Nel dubbio, quindi,un pensierino strutturato nel medio-lungo termine si potrebbe fare…