Story-telling e/(é) arte della guerra

Recita un antico proverbio indiano: “Dimmi un fatto e apprenderò, dimmi una verità e crederò, ma raccontami una storia e vivrà nel mio cuore per sempre”.

Raccontare storie è dopotutto umano.

George Steiner stesso scriveva che, secondo la tradizione ebraica, Dio avrebbe creato l’uomo perché raccontasse storie, soprattutto a Dio stesso… (iniziate a prendere appunti novelli Prometeo…)

Una buona storia avvicina  oggetti, eventi e idee apparentemente lontane, crea un legame narrativo, un senso e spesso una visione…

Anche la scienza ha bisogno di raccontare storie per informare e nel contempo appassionare l’opinione pubblica.

Per tutti questi motivi anche il mondo aziendale ha iniziato a occuparsi del racconto di storie, cercando di prendere a prestito dalla letteratura, dalla religione e dal cinema tecniche, metodi, trucchi e suggestioni…

Steve Jobs dopotutto docet.

Tre sono i motivi principali per cui è sempre più importante saper scrivere e raccontare storie avvincenti, appassionate e soprattutto coinvolgenti: dare senso a cose apparentemente slegate (elementi che emergono da una ricerca di mercato, funzioni che si vogliono legare in una offerta commerciale, specifiche azioni aziendali che si vogliono collegare in una visione unitaria, indizi che ci aiutano a immaginare-“envision”- un futuro possibile, prestazioni di un nuovo prodotto che si vogliono associare ai bisogni, più o meno manifesti, di una certa categoria di clienti…);

quindi, appassionare su temi e fatti non particolarmente glamour, (come per esempio la diffusione di una nuova missione aziendale o un grande progetto di ristrutturazione organizzativa che, da proclami o descrizioni fatte di elenchi, diventino store intriganti e soprattutto coinvolgenti…);

infine, coinvolgere i propri clienti in modo appassionato a attivo trasformandoli da recettori passivi di un messaggio a figure attive che chiedono in modo consapevole, usano con abilità, assimilano e restituiscono suggerimenti e naturalmente migliorie…

Le aziende hanno sempre più bisogno dunque di story-teller  capaci di narrare, di immaginare il futuro prossimo e di costruirlo quindi; il passato glorioso, per quanto glorioso possa essere è passato e tale resterà per sempre, con i suoi pregi e i suoi difetti.

Gli story-teller devono quindi raccontare storie che spesso non possono essere vere – perché non si sono ancora manifestate – ma devono essere convincenti e appassionanti.

Secondo Aristotele sono tre i pilastri della persuasione: logos (il ragionamento logico, basato su fatti obiettivi), il pathos (le passioni e i sentimenti che l’oratore riesce a suscitare negli ascoltatori attraverso il suo discorso) e l’ethos (il carattere che assumere l’oratore per ottenere la fiducia dell’uditorio).

Anche se i suoi mezzi logici sono ineccepibili, l’oratore non sarà efficace se non è credibile.

Certo una parte dell’ethos dipende da chi è l’interlocutore, da quanto è credibile (cosa che può dipendere sia dalla sua storia sia da chi rappresenta)…

Ma non dobbiamo dimenticare che vi è anche una componente dinamica, che si costruisce di pari passo con lo sviluppo della relazione. È in questo ambito che gli story-teller dell’innovazione devono agire e colpire.

Parlare di innovazione, o meglio, convincere a “comprare” oggetti che non si sono ancora visti (prodotti, servizi, investimenti, imprese …) è una grande sfida che si compone di tre aspetti:

– Rendere visibile e concreto un futuro che non si è ancora manifestato, contenendone la dimensione inquietante e ansiogena.

– Essere credibili come interlocutori che conoscono il presente e sanno anticipare il futuro, per richiamare la fiducia di chi ascolta e persuaderlo con l’ethos.

– Materializzare e dare concretezza a un oggetto (un prodotto, un servizio, un progetto) che non solo non esiste ma non si è ancora visto. Spesso si vuole sottolineare la dimensione “innovativa” pensando di sparigliare, di differenziarsi dalla concorrenza … ma è proprio questa dimensione che può allontanare chi ascolta….

E allora? Parlando di futuro, è l’ethos la chiave di tutto!

Gli antichi ci ricordano che l’ethos si costruisce lavorando su tre specifiche dimensioni: l’onestà riconosciuta di chi parla, il suo valore (conoscenza ed esperienza) rispetto alla materia trattata e i suoi valori e cioè la sua capacità di entrare in sintonia con i valori, i giudizi e i luoghi comuni di chi lo ascolta; di possedere dunque (e di saper rappresentare), i suoi stessi valori.

In particolare, il decorum, tanto declamato da Cicerone coincide con l’onestà comunicativa e comportamentale.

Si tratta di avere e usare un’autorevolezza che deriva dalla propria storia e non una semplice autorità che deriva dal ruolo che si ricopre.

Il leader ha una autorità “naturale” che discende dal “diritto naturale” che ne fonda la legittimità.

Il capo ha invece una autorità “positiva” che si basa sul “diritto positivo”, fondato sulla legge e la conseguente legalità.

La sua leva è dunque l’autorità.

È l’autorevolezza che però persuade, che trascina, che fa sognare… non l’autorità.

Non basta dunque una buona storia, ci vuole anche un buon narratore.

Una volta messo a punto l’ethos del narratore, serve comunque una buona storia.

In estrema sintesi, sono tre gli ingredienti essenziali di una buona storia: il primo è ricordarsi che tutte le storie si rifanno a una storia “originaria”, il secondo ingrediente prevede la conoscenza di molti esempi concreti da cui poter attingere passaggi, idee, tecniche e legami narrativi…

L’ultimo, infine, consta nel possedere buone capacità linguistiche (non è scontato).

Oltre a questi elementi tipici di ogni storia, per parlare con efficacia di innovazione bisogna saper anche “gestire” il futuro.

Spesso il futuro è infatti percepito da chi ci ascolta come inquietante e pieno di incognite…

Parlando di innovazione, dunque, c’è sempre il rischio di essere visti da chi ci ascolta ( anche se in modo inconsapevole) come con-causa di quegli stessi scenari preoccupanti che si propone di affrontare.

Per questi motivi il racconto deve cambiare lo «sguardo al futuro» dell’interlocutore; deve cambiare la sua prospettiva, riducendo le componenti problematiche e ansiose concentrandosi sui possibili effetti positivi.

Il punto è semplice: se il presente non ti piace perché non inverti la rotta? Soppesando i rischi si scoprirà che le probabilità di perdere ciò che si possiede e si è conquistato aumentano se non innovi concretamente…

Il futuro non è quindi solo la cornice della storia, è lo schema! Cioè il luogo che DEVE diventare desiderato e comune tra chi racconta e chi ascolta.

È quindi importante costruire una comprensione condivisa del futuro per rendere più efficace – o talvolta addirittura possibile (effetto Pigmalione…) – il processo di vendita di prodotti e servizi innovativi.