La crisi della Grande distribuzione e la riscossa dei piccoli: il ruolo chiave dell’e-commerce
Se la storia ci insegna qualcosa ogni impero ha una fine se non innova. Ci sono imperi che possono arginare la crisi cambiando rotta radicalmente e ci sono imperi il cui declino è inevitabile… la loro estinzione è parte di un gioco più grande, più profondo e a tratti incomprensibile: l’evoluzione.
L’impero dei supermercati sembra un impero in estinzione o perlomeno in fase di parziale ridimensionamento in tempi brevi.
Gli Iper e i Super mercati costano oggettivamente troppo in termini di gestione: sono grandi, pesanti, antichi…sono elefanti con zampe di argilla.
Hanno condizionato la chiusura di tanti piccoli negozi e di conseguenza impoverito milioni di persone, (pur assumendone altre a basso costo), hanno sottoposto spesso i propri dipendenti a condizioni di lavoro disumane e alienanti (con buona pace di ogni principio cooperativo…)
Tra Chieti e Pescara, su una distanza di 10 km (servito da un Asse Attrezzato a scorrimento veloce) vi è l’area a più alta densità di Iper e Super mercati d’Europa. Senza citare le sigle naturalmente vi sono colossi della grande distribuzione francesi, svedesi, tedeschi, spagnoli, cinesi, bolognesi, veronesi, pugliesi e altri… Vi sono centri specializzati in elettronica, in alimentazione, in scarpe, in attrezzature per il “fai da te”,in mobili, in articoli sportivi, in arredamenti edili, ecc …
Il loro tallone d’Achille? L’e-commerce. Acquisti telematici da casa, con prezzi sempre vantaggiosi. Acquisti rapidi e sicuri il cui volume è in crescita di almeno il 100% all’anno. Le strutture di distribuzione dei prodotti sono veloci, altamente e tecnologicamente avanzate…
Acquistare on line oggi significa che ogni acquisto ti viene portato comodamente a casa. Quasi sempre senza spese.
Vi è già una distinzione scientifica per evidenziare diverse tipologie di piattaforma. C’è l’advertising platform (vendita di spazi pubblicitari: qui i padroni sono Google e Facebook), la cloud platform (i proprietari di hardware e software usati da altre imprese), l’industrial platforms (che fornisce la tecnologia e il software affinché altre aziende possano ottimizzare i propri processi organizzativi e produttivi), le product platforms (i loro profitti derivano dall’uso di altre piattaforme, che trasformano i loro prodotti in servizi usati da imprese, compresa la sorveglianza), le lean platforms (Airb&b e Uber).
Chi può preparare e organizzare il nostro paese, la nostra economia, la nostra società di fronte all’avanzare veloce dell’automazione e “dell’intelligenza artificiale” quando non abbiamo nemmeno un piano industriale e produttivo post fordista? Pur avendo analisi e riferimenti su come sia cambiato il lavoro e il suo futuro, c’è un’assenza di programmazione spaventosa, una coscienza imprenditoriale spesso obsoleta e un ceto dirigenziale politico oggettivamente mediocre…
E allora?
Si evidenza ancora una volta il ruolo fondamentale delle generazioni nate negli anni ’90, chiamate ancora una volta a reinventare l’avvenire della politica, dell’economia e della società.
Nel suo piccolo Quolit è nata proprio da questo. L’apparente scenario di apatia in cui le piccole e medie imprese operavano ha spinto a cercare un’innovazione. Una modesta ma ambiziosa innovazione.
Chi in questi difficili anni di crisi e spietata concorrenza ha gestito piccole e medie imprese non ha solo dimostrato un coraggio ineguagliabile ma soprattutto una capacità imprenditoriale straordinaria e meritevole di attenzione.
Quolit è nata proprio per offrire un mondo virtuale dove i migliori negozi potessero esprimere il loro potenziale, vendere i loro prodotti e farsi quindi conoscere.
Da qui i servizi di vendita, i servizi di hosting e di social media marketing: una strategia completa per portare avanti un percorso che aiuti le piccole e medie imprese a digitalizzarsi.
Facendo sistema e prestando l’innovazione della vendita online alle piccole e medie imprese italiane, vera colonna portante della nostra economia, si può creare una macchina perfetta e capace di competere in maniera formidabile sui mercati internazionali nei prossimi anni.
Si può fare ancora molto ma il trend è chiaro e non potrà che crescere: la spesa stessa, la spesa base che ognuno di noi fa per mangiare, sarà fatta presto online.
La crisi dei super è la riscossa dei piccoli che tornano a fare rete, non solo nei quartieri e nei centri storici ma anche sul web dove scoprono potenzialità immense.
La grande distribuzione in Italia è nata nel secondo dopoguerra come risposta dei dettaglianti di piccola e media dimensione per contrapporsi alla concorrenza dei grandi gruppi francesi e tedeschi entrati nel mercato della distribuzione alimentare con superfici di grandissima dimensione e con una presenza capillare. Oggi, attraverso la grande distribuzione passa quasi il 70 per cento degli acquisti alimentari. Dal punto di vista di chi produce (gli agricoltori soprattutto ma anche gli industriali) è di conseguenza il canale di distribuzione più importante, spesso l’unico, per stare sul mercato.
In questo 70 per cento, ci sono gli ipermercati, enormi punti vendita con una superficie di almeno 2.500 metri quadri; i supermercati classici, di dimensioni medie tra 400 e i 2.500 metri quadri; e le cosiddette “superette”, la cui estensione normalmente non supera i 400 metri quadri. Sommati tra loro, costituiscono una realtà strutturata con quasi 30 mila punti vendita.
Sconti dopo sconti, imposti sulla base della condizione privilegiata di cui godevano molti grandi attori della gdo, i fornitori e i piccoli negozi sono stati gradualmente costretti a ridimensionare il loro fatturato.
Ma qualcosa sta cambiando. Dopo anni di dominio indiscusso, il mercato sta mutando nuovamente e il vento sta tornando piano piano a soffiare a vantaggio dei piccoli, i quali hanno imparato la lezione e si stanno riorganizzando.
Nascono quindi i “centri commerciali naturali”, i centri storici si rivitalizzano e riscoprendo le opportunità legate alla digitalizzazione si fanno conoscere: vincono così la bellezza all’alienazione, la storia e la cultura all’apatia e al vuoto postmoderno.
Non solo e-commerce quindi ma anche pubblicità. Pubblicità dinamica, semplice e di qualità come i loro prodotti unici.
Gli anni passano ma l’innovazione corre veloce e non bisogna escludere un inserimento delle aziende agricole nei piccoli centri in questo quadro: se presto sarà possibile fare la spesa da casa perché allora non si potrà comprare frutta e verdura fresca dal contadino su internet? In piccoli centri questo è già possibile e il fenomeno sembra inarrestabile…
Chi crede che la digitalizzazione ucciderà posti di lavoro si sbaglia di grosso: balzare avanti preservando (e recuperando i vecchi trucchi) investendo anche e soprattutto nelle imprese tradizionali significa salvare posti di lavoro. Anzi, se il mercato spinge per un recupero di un determinato segmento di imprese significa che queste avranno bisogno di figure professionali nuove e altamente qualificate.
Davide contro Golia insomma e sappiamo tutti come finì…questione di tempo e impegno ma le prospettive (e la storia) sono con la fionda.