Dove batte il cuore della moda Made in Italy?

La storia cammina e la Cina continua ad avvicinarsi.

Lo dice la storia appunto ma i dati lo confermano.

Tutti gli stilisti e gli operatori del settore Moda hanno da tempo preso atto di una realtà certificata dalle statistiche: secondo le stime di Bain&C. e della Fondazione Altagamma, circa il 30% degli acquirenti di beni di lusso in tutto il mondo oggi abita in Cina.

Dunque gli stilisti italiani non possono rinunciare a crescere ancora sul mercato della Repubblica Popolare, dove la spesa pro-capite per l’abbigliamento è attesa in aumento di oltre il 100% entro il 2025 e dove la classe media e medio-alta della popolazione conterà fra 10 anni ben 141 milioni individui in più rispetto a oggi.

I numeri citati fanno dunque ben sperare i marchi del lusso made in Italy, almeno quelli che in Oriente sono presenti da parecchio tempo e che con l’export sono riusciti a compensare l’andamento debole del mercato interno.

Anche quest’anno, proprio grazie all’export, l’industria italiana della moda sta facendo registrare buoni risultati.

Secondo le previsioni della Camera Nazionale della Moda, comunicate dal presidente Carlo Capasa durante la presentazione delle sfilate femminili milanesi di fine settembre, il comparto del lusso made in Italy (che oltre all’abbigliamento include le pelli, le calzature e gli accessori griffati) chiuderà il 2017 con un fatturato complessivo di 86 miliardi di euro, in crescita del 3% su base annua, cioè a un tasso doppio rispetto a quello del PIL nazionale.

Positivo anche l’andamento del solo comparto tessile (escludendo gli accessori) che vale nel complesso 53 miliardi di euro e che nel 2017 dovrebbe crescere a un ritmo dell’1,8% (dati di Sistema Moda Italia), ritornando a un giro d’affari in linea con quello precedente la crisi del biennio 2007-2008.

Nel complesso, le esportazioni hanno raggiunto una quota di oltre il 55% dell’intero giro d’affari del settore e sono cresciute dal 2010 a oggi di circa il 21%.

Di segno contrario invece il numero di addetti delle aziende del comparto tessile-moda che, sempre durante l’ultimo decennio, sono diminuiti di oltre 20 punti percentuali, da circa 540mila a poco più di 400mila unità. Mentre insomma crescevano i fatturati delle imprese diminuivano i loro organici.

Segno evidente che diverse aziende si sono ampiamente ristrutturate, aumentando la produttività dei loro dipendenti e spostandosi su merci a più alto valore aggiunto.

Un segnale anche per chi non ha ancora capito quanto sia oggettivamente difficile lavorare in Italia.

La fotografia della moda italiana che emerge dalle statistiche, dunque, è quella di un’industria in salute. Sarà così pure nei prossimi anni?

Ci sono buone ragioni per essere ottimisti anche se è bene che gli operatori del settore continuino ad investire viste le sfide assai impegnative che si trovano di fronte.

Chi si ferma è perduto.

Puntare sui mercati emergenti resta una priorità per molti. Una priorità ed un esigenza normale per chi sa come funziona il libero mercato.