En marche?

Molti credevano di aver trovato in Macron un amico, ma esiste l’amicizia in politica?

La classe dirigente francese non dimentica mai il proprio ruolo e difficilmente accetta di essere seconda a qualcuno…

Prima vengono insomma gli interessi nazionali, (la République), il resto seguirà…Napoleone docet. L’europeista è quindi nazionalista, o comunque europeista per ragioni superiori; il privatizzatore, il liberale, è protezionista (e giacobino) per ragioni superiori. E’ la Realpolitik, bellezza.

La duplice mossa giocata sui fronti Libia e Fincantieri è stata vissuta dall’Italia per quello che di fatto è, specie nei giorni in cui Telecom Italia è diventata ufficialmente francese: uno schiaffo, se non una umiliazione.

E lo è soprattutto per un Paese conciliante e collaborativo come il nostro, sovraesposto sulla crisi migratoria e impegnato più di altri a rimettere insieme i cocci di una Libia destabilizzata proprio dai raid aerei della Francia dell’ex presidente Sarkozy.

Lo strappo parigino, dopo la Brexit, è in linea con la regressione europea fatta di muri e con la dismissione della solidarietà. Nazionalismo economico e politica assertiva nel Mediterraneo costringono l’Italia a misurarsi quindi velocemente con tutto ciò che riguarda l’interesse nazionale (sicurezza e Difesa).

La Germania si muove con cautela (le elezioni sono vicine) e il suo ruolo di leadership (se mai c’è stato) si dimostra privo di sostanza.

L’Italia, paese chiamato a pagare un costo molto elevato sotto diversi punti di vista soffre di una debolezza congenita che a livello internazionale le impedisce di avere un ruolo determinante. L’Italia infatti raramente dirige l’azione ma si limita a difendere la trincea.

Le relazioni internazionali, il ruolo dei singoli giocatori dipendono molto dalla tenuta interna. Macron ha alle spalle uno Stato ben organizzato e un’opinione pubblica che s’identifica con la République. I francesi hanno istituzioni stabili e rispettate, noi siamo perennemente in campagna elettorale alla ricerca di un decente assetto politico…

Nel gioco delle differenze, però, non tutto è a nostro sfavore: contano la storia e l’attualità. La Francia che ha vissuto il trauma dell’Algeria (unica potenza nucleare europea e membro del Consiglio di sicurezza dell’Onu) è a suo agio nei teatri bellici.

Parigi schiera 10 mila soldati in modo permanente in Africa, guarda al Maghreb, Ciad e Mali come ad un neo protettorato e vede nella Libia un corridoio per la propria influenza politica ed economica. Niente di nuovo per una potenza politico-militare: Giscard mandò i parà in Congo, Mitterrand l’Africano schierò la Legione nel Ciad, i bombardieri di Sarkozy hanno martellato la Libia di Gheddafi…

Ma intanto le periferie di Parigi si riempiono di alienati, di persone illuse che sarebbero diventate francesi non si sa quando…una pentola a pressione già esplosa in passato e pronta a presentare nuovamente il conto…

La forza spesso complica le cose e un approccio diplomatico e maturo, (tipicamente Italiano), può essere decisamente più determinante.

La tessitura in Libia non sarà spettacolare, procede a tappe forzate, ma rientra in una logica di «cerniera». Serve tempo, mentre la situazione sul terreno non lo concede…

Per la Francia, la nazione più colpita dal terrorismo islamista, la questione migratoria è più un fatto di ordine pubblico che umanitario.

La novità dei governi Renzi e Gentiloni, e in particolare l’impronta del ministro Minniti, è invece l’aver spostato l’asse dalla reazione umanitaria a quella geostrategica, legando gli interessi dell’Europa a quelli dell’Africa e rendendo consapevole l’Unione europea che le frontiere si sono spostate a Sud.

La posta in gioco è la gestione degli interessi nazionali in chiave conflittuale o cooperativa, condizionati comunque dalle dinamiche nazionali. Macron, da pochi mesi all’Eliseo, ha già perso 10 punti. Non dimentichiamo che Le Pen mantiene un bottino elettorale di tutto rispetto, in grado di orientare ancora parti consistenti di francesi e di condizionare le scelte del governo…la promessa rivoluzione liberale di Macron dov’è?

In fondo la strategia dell’Eliseo (che sembra d’attacco) è in realtà difensiva e c’è tanta propaganda nelle ultime decisioni…

La politica estera di Macron si potrebbe tuttavia inserire inoltre in un piano più grande: contenere la Germania in Europa e accordarsi con Washington per ristabilire una quota di rilevanza nel Mediterraneo.

Vero, Eni e Ferrero avanzano con decisione sui mercati esteri ma mentre la Francia annuncia un piano per costituire un fondo di 10 miliardi per le start-up, in Italia la normativa in materia resta confusa e piena di lacune.

La Francia in Europa è il secondo paese per aziende hi-tech: in testa il Regno Unito, segue appunto la Francia, La Germania quindi l’Italia. Gli investimenti privati stessi ammontano a quasi 31 miliardi (l’Italia si ferma a 12 miliardi).

Il segreto? La presenza di molte grandi imprese. La nostra economia è caratterizzata da un complesso di piccole e medie imprese spesso incapaci di fare sistema e di competere.

Si evince ancora una volta la necessità di collaborare e condividere know-how su un piano internazionale investendo in digitalizzazione e commercio on-line.

Sul piano delle competenze abbiamo dimostrato di essere più bravi ma occorre una strategia a lungo termine non solo quindi sul piano geopolitico ma anche geoeconomico.

L’Italia piace. Anche in Francia. Ma occorre una leadership strutturale su più livelli e un rinnovo della classe dirigente che sembra tardare.

La Francia ha voltato pagina dopo Hollande dicendo chiaramente “no” ai partiti e a tutto quello che rappresentano. C’è molto da imparare anche da qui…

Peccato l’Italia non sia ancora in grado di esprimere un’alternativa veramente concreta sul piano politico ai partiti tradizionali.